La protesta degli ulivi e del TAP: scontri e feriti tra gli ulivi

Il giorno dopo la decisione che autorizza la costruzione del gasdotto Tap (ndr: Gasdotto Trans-Adriatico)...

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Il giorno dopo la decisione che autorizza la costruzione del gasdotto Tap (ndr: Gasdotto Trans-Adriatico) tra Italia, Grecia e Turchia, la protesta prende di mira le opere di espianto degli ulivi. La polizia carica i manifestanti, e l’opera andrà avanti.

Scontri e feriti tra gli ulivi: “Non vogliamo il gasdotto”

Rivolta nelle campagne leccesi dopo il via libera al cantiere del Tap. Il sindaco di Melendugno in testa al sit-in: «Anziani e bambini respinti dalle forze dell’ordine»

MELENDUGNO (LECCE) – Con il calare della sera gli ulivi della discordia incappucciati per il trasloco sembrano vivi come in un quadro di Van Gogh. Si è combattuto a più riprese in questo lembo di Salento tra San Foca e Torre Specchia Ruggeri.

Da una parte trecento cittadini decisi a difendere il territorio, dall’altra, oltre la polizia e le transenne del cantiere San Basilio, le ruspe della Trans Adriatic Pipeline in arte Tap autorizzate dal Consiglio di Stato a riprendere i lavori per la parte finale del corridoio europeo meridionale del gas, 3500 km in totale che dall’Azerbajan arrivano in Puglia.

«È una giornata nera per noi, gli agenti hanno caricato sindaci, donne, perfino un non vedente, questo gasdotto qui non lo vuole nessuno», spiega Tobia Lamare, 41 anni, «cittadino». Alle sue spalle c’è il presidio degli attivisti che dal 20 marzo scorso, data dell’espianto dei primi 33 ulivi, hanno piazzato una decina di tende sul terreno messo a disposizione della causa dalla «mamma di Sabina». Ieri, dopo due tornate di scontri terminate con otto feriti in maniera lieve da ambo le parti, gli operai hanno espiantato altri 28 ulivi ma i “no Tap” giurano che non permettaranno loro di arrivare a quota 211, il totale degli alberi da rimuovere con tanto di radici e zolla per essere poi ripiantati nello stesso posto a scavi per il microtunnel ultimati. Un lenzuolo appeso ai rami di una pianta a metà strada tra i due fronti traccia la linea del centrocampo, «L’Europa e il governo non dettano legge in Salento».

La storia del gasdotto inizia intorno al 2007 e, a detta degli insider, viene ignorata a lungo. È solo quando un paio di anni fa gli abitanti si accorgono del movimento dei camion che, complice la distanza ormai abissale tra territorio e istituzioni, inizia il braccio di ferro. Come nel caso della Tav buona parte dei sindaci della zona è contraria e contrari sono non solo i duri e puri dei centri sociali ma anche le madri e i padri di famiglia, i salentini semplici che, come dice il ristoratore Fabio, «non hanno magari la laurea ma distinguono il bene dal male». Ma mentre sul versante gasdotto si marcia compatti e forti del parere finora sempre positivo dei giudici interpellati, i no Tap sono tanti ed eterogenei, c’e l’anarchico Adriano irriducibile a prescindere, l’ambientalista Marianna che capisce «le ragioni geopolitiche» e si accontenterebbe di uno spostamento dell’opera in una zona già industrializzata come Brindisi, c’è il veemente governatore Emiliano che pur attaccando Palazzo Chigi si prende le strigliate dei 5Stelle locali prima e poi di Beppe Grillo per essersi svegliato tardi.

«Si tratta di un gasdotto non necessario perché secondo uno studio dell’Associazione Italiana degli Economisti i consumi di gas caleranno entro il 2030 a fronte di un incremento delle energie rinnovabili», dice il sindaco di Melendugno Marco Potì, ancora accaldato per aver guidato il sit-in di ieri composto «anche da anziani e contadini» ma respinto da «uno spiegamento delle forze dell’ordine senza precedenti». I giudici amministrativi hanno bocciato la valutazione ambientale fatta dai suoi e dai colleghi di almeno altri 11 Comuni ma la questione va ben oltre i cavilli giuridici e s’inserisce in un quadro più ampio in cui, sebbene per un tempo limitato, avremo ancora bisogno a lungo del gas che oggi prendiamo dalla Russia, dalla Libia, dall’Algeria e domani, in attesa di averne dal Kazakistan da Cipro e da Israele, prenderemo dall’Egitto di al Sisi.

Siamo contrari comunque «a un progetto dal grave impianto ambientale e culturale sul Salento», insiste Sonia Pellizzari di Sinistra Italiana. E poco conta che gli ulivi saranno rimessi al loro posto, che il micro-tunnel passerà a una quindicina di metri sotto la spiaggia, che per quanto strano sembri Brindisi è ancora meno adatta dal punto di vista ecologico perchè ha un fondale marino intoccabile. La paura mangia l’anima e quella dei salentini galoppa con le statistiche che li dicono a rischio crescente di tumori per cause ambientali.

«Abbiamo cercato il dialogo con la Regione che non ha neppure preso in considerazione il nostro piano alternativo a San Foca», nota il portavoce della Tap Luigi Quaranta. La più importante delle obiezioni dei cittadini riguarda quel gas che, dicono, non rifornirà l’Italia ma il centro Europa. Risponde, giura, per la centesima volta: «Il consorzio fornitore, quello che sfrutta il giacimento di Baku, ha già venduto 10 miliardi di gas per 25 anni a 9 aziende europee di cui due italiane, tra cui l’Enel». Gli scavi in Grecia e in Albania sono già iniziati da mesi.

Che piaccia o meno del gas oggi non si può fare a meno, conferma Gianfranco Viesti, esperto di industrializzazione dell’università di Bari: «Col gas si riduce la componente di petrolio. Farne a meno non mi sembra possibile dal momento che le energie alternative sono in grado di soddisfare soltanto una parte del nostro fabbisogno». Poi certo, ammette, la Tap non ha agito cercando il consenso, «le grandi opere servono ma vanno realizzate consultando la popolazione locale».

Mentre col buio la popolazione locale ferita ma non doma torna a casa, la difesa degli ulivi del Salento, già martoriati dalla xylella, sembra oggi l’estrema roccaforte della generazione G8, gli idealisti abbeveratisi anche all’ambientalista Julia Butterfly Hill che quasi sedici anni fa a Genova videro le proprie argomentazioni imporsi al tavolo dei potenti (la povertà entrò allora nell’agenda della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale) ma perse l’anima nel sangue. È passata una vita, il sogno di un mondo migliore possibile è diventato sfida al sistema. La battaglia si annuncia lunga ma il tempo stringe, gli ulivi possono essere espiantati fino a fine aprile, da maggio a ottobre sono in stato vegetativo e spostarli ne comprometterebbe la sopravvivenza.

(Ha collaborato Fabio Di Todaro)

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