I catalani sfidano anche il re Felipe

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Dopo aver duellato a distanza con il premier Rajoy, adesso i catalani sfidano anche il re Felipe: “Non vuole trovare una soluzione” è l’accusa. “Il nostro legame con Madrid ormai è spezzato”.

La sfida dei catalani al Re Felipe: “Non vuole trovare una soluzione”

Dopo il discorso alla Nazione: il nostro legame con Madrid è spezzato

BARCELLONA – «Non mi interessano le parole del re, non mi piace la corrida e non mi sento spagnola». La ragazza si chiama Irene Linares, ha 21 anni, felpa dell’Adidas, tabacco Golden Virginia, studia Lingue Moderne e tutto potrebbe sembrare, a guardarla con occhi disincantati, tranne che una ragazza pronta alla guerra. Quello che dice, però, non ammette molte repliche, come la piega che ha preso questa storia dell’indipendenza della Catalogna. «Siamo preoccupati, eppure siamo pronti», dice Irene Linares. «Se manderanno l’esercito, non faranno altro che rafforzarci. Il sentimento indipendentista crescerà. La colpa di noi catalani è quella di essere più avanti, più aperti. Io non ho apprezzato tutto quello che ha fatto il presidente della Generalitat Carles Puigdemont. Avrei preferito che il referendum fosse approvato da tutto il Parlamento, avrei voluto arrivare a questo punto attraverso una strada perfettamente legale. Ma ora non si può tornare indietro. Quello che chiediamo è di poter scegliere per noi. Chiediamo democrazia. Ci separeremo dalla Spagna. E la Catalogna sarà un Paese libero, più moderno e finalmente nel futuro».

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Nuvole basse su Barcellona. Pioviggina, fa caldo. I negozi sulla Rambla de Catalunya sono tornati alla normalità. Tapas, grandi magazzini, prosciutti appesi. I pullman rossi dei turisti fanno i loro giri nel traffico. L’Università non è più occupata. Restano molte bandiere indipendentiste ai balconi. Ma nulla, davvero nulla, adesso, farebbe presagire la drammatica resa dei conti che sembra avvicinarsi. La città vive normalmente, sono i toni ad essere sempre più esasperati. Così scrive, ad esempio, un vigile del fuoco molto attivo per l’indipendenza: «In due mesi la Catalogna ha subito due attacchi terroristici. Il 17 agosto i jihadisti. il 1° ottobre la polizia spagnola».

Eccolo, l’autore del paragone. Si chiama Marc Ferrer, 42 anni, nato a Terrassa, residente a Barcellona. «Le parole del re hanno provocato grande rabbia in tutti noi. Non ha fatto alcun riferimento all’aggressione della polizia nazionale. Non ha parlato della nostra volontà democratica, ma solo della sua legge, della sua legalità. È evidente che non voglia cercare una soluzione. Quindi, sì, siamo preoccupati…».

Sono tutti preoccupati a parole. Ma nessuno sembra più nelle condizioni di potersi permettere un passo di lato, una frenata. Qualcosa che non suoni come una smentita di se stesso. C’è, quindi, questa consapevolezza di un momento storico, come di qualcosa di ineluttabile. Il pompiere Ferrer si aspetta giornate molto difficili. «Siamo preoccupati perché conosciamo la storia dello Stato spagnolo, uno Stato coloniale e repressore, che ha sempre utilizzato la forza contro il suo stesso popolo. Ecco perché noi vogliamo che l’Unione europea faccia un appello e tenti una mediazione per trovare una soluzione pacifica. Altrimenti, quello che succederà sarà un’incognita. Non so come la gente della Catalogna risponderà a una nuova aggressione. Noi non vogliamo la violenza, vogliamo la democrazia. Ma ormai non si torna indietro».

Ecco, la parola più ricorrente a Barcellona: ormai. La migliore amica di Irene Linares è biondissima, con una faccia da bambina. Si chiama Ariadna Torres, 21 anni anche lei: «Troppe cose sono successe, ormai. Io rispetto le opinioni di chi non vuole l’indipendenza. Ma sono poco argomentate. Sono poco informate». E le vostre? «Per ogni 10 euro che noi diamo alla Spagna, la Spagna ce ne restituisce 1. Abbiamo un’altra cultura, altri sentimenti, un’altra lingua. Noi non uccidiamo i tori, noi preferiamo la torri umane dei castellars. Non dico che le nostre tradizioni siano superiori, ma a noi piacciono di più. Quello che dice il re non mi interessa. Lui non parla a noi. Io non mi sento spagnola». Le facciamo notare che la Costituzione vieta la dichiarazione di indipendenza che la Catalogna si appresta a votare. «La Costituzione della Spagna è vecchia», risponde Ariadna Torres. «È venuto il momento di cambiarla. Vogliamo andare avanti. Lo chiediamo pacificamente. Ma loro hanno dimostrato di non essere altrettanto pacifici».

Oggi è impossibile immaginarsi Barcellona in guerra, con forze di polizia contrapposte, l’esercito per strada e queste ragazze su qualche barricata. Eppure, siamo arrivati qui. Quanto sia contata, in tutti questi anni, la propaganda indipendentista, le posizioni della chiesa catalana, le scuole pubbliche chiuse obbligatoriamente durante lo sciopero e certe lezioni sui «patrioti» sarebbe interessante saperlo. Ma sembrano domande, ormai, fuori tempo massimo.

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