Abu è in Bangladesh: «Aiutatemi a tornare»

Il quartiere di Mirpur, a Dacca, dove Abu è andato ad abitare. «Vi prego: aiutatemi...

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Il quartiere di Mirpur, a Dacca, dove Abu è andato ad abitare.

«Vi prego: aiutatemi a tornare in Europa per continuare la scuola» Ha lasciato ieri mattina l’Italia alla volta del Bangladesh il piccolo Abu (nome di fantasia a tutela della sua identità), il ragazzino di 11 anni abbandonato dalla mamma e con il padre in carcere costretto a lasciare Schio per ritornare nel suo Paese d’origine. Abu, affidato agli zii materni, si era perfettamente integrato nel nostro Paese e anzi era diventato il primo della classe grazie ad una vivace intelligenza e ad una forte motivazione nonostante la sua giovanissima età: realizzarsi attraverso lo studio per poter dare una vita migliore alla sua famiglia. Ma il suo sogno rischia di infrangersi di fronte a un ostacolo burocratico: gli zii devono trasferirsi per lavoro in Inghilterra e vorrebbero portarlo con loro, ma secondo la legge inglese per portare il bambino oltre la Manica serve il consenso dei genitori. Consenso che il padre in carcere non vuole dare.

La necessità di partire entro pochi giorni ha costretto dunque la famiglia affidataria a riportarlo in Bangladesh dai nonni per poi cercare di risolvere i problemi legali e fargli raggiungere gli zii a Londra.

«Mi sarebbe piaciuto restare in Italia, ma voglio bene ai miei zii e voglio riuscire a raggiungerli in Inghilterra il prima possibile. Là potrò continuare la scuola. Se qualcuno può fare qualcosa per aiutarmi, lo faccia».

A poche ore dalla sua partenza il piccolo Abu aveva gli occhi velati di lacrime parlando di un futuro che evidentemente lo spaventa. Ma non ha pianto, cercando nonostante l’età di mostrarsi coraggioso di fronte all’ennesima prova che il destino gli sta mettendo di fronte.

Nato in Bangladesh e trasferitosi a sette anni in Italia, dove oggi si trovano tutti i suoi amici e punti di riferimento, ora si troverà a vivere in uno dei Paesi più poveri del mondo con la nonna gravemente malata e l’incertezza di tornare in Europa. «Se avessimo potuto restare qui sarebbe stato bello – dice – ma non è possibile». Per aiutarlo le maestre e i genitori dei suoi compagni di scuola stanno cercando di capire se c’è qualcosa da fare perché la sua vicenda si risolva per il meglio al più presto.

«Purtroppo temo che l’unico modo per riuscire a superare le difficoltà che abbiamo avuto a portarlo in Inghilterra – afferma lo zio – sia quella di togliere la potestà a suo padre». Il genitore di Abu sta scontando una condanna nel carcere di Vicenza per un’aggressione ai danni della madre, ma dovrebbe uscire entro pochi giorni ed anche questo motivo è alla base del frettoloso espatrio di Abu.

«Lui dice che non vuole separarsi dal bambino – continua il parente – ma temiamo che sia solo un modo per tenere sotto scacco l’ex moglie, che ora si è risposata e vive in un’altra città italiana». Per questo il padre non ha dato il consenso all’espatrio. «Mi ha anche minacciato dicendo che se avessi portato il bambino in Inghilterra me l’avrebbe fatta pagare» ha spiegato il parente il giorno prima della partenza.

La madre invece, che ha affidato il figlio a suo fratello, era d’accordo che lui si trasferisse coi parenti in Inghilterra, ma il suo consenso da solo non bastava. Non sarà facile sbrogliare la vicenda.

Ecco il quartiere del bambino rispedito in Bangladesh

Palazzine fatiscenti si affacciano su strade polverose, ai cui bordi cumuli di rifiuti si alternano ai mucchi di materiali da costruzione. L’aria afosa è pregna di odori fra i cantieri dalle impalcature di bambù e le baracche coi tetti di lamiera dove merci le più disparate sono impilate ed esposte alla vista dei numerosi passanti. Uomini con camicie di lino e sandali di cuoio e donne in abiti tradizionali si muovono a piedi o su sgargianti risciò che si infilano ovunque. Poche e scassate le auto, su questa strada laterale. Fra i palazzi e le chiome delle piante tropicali, si staglia sul cielo il disordinato reticolo dei cavi elettrici.

È uno scorcio di Mirpur, quartiere di Dacca, capitale del Bangladesh. È in una via come questa che ora si trova il piccolo Abu (nome di fantasia per tutelare l’identità del minore).

vivicentro.it/cronaca  –  ilgiornaledivicenza/Ecco il quartiere del bambino rispedito in Bangladesh (Elia Cucovaz)

 

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