Sequestro di beni per 400 mila euro a 72enne della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio a Palermo

I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo hanno dato esecuzione ad un altro sequestro quale...

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I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo hanno dato esecuzione ad un altro sequestro quale seguito all’operazione “Panta Rei”.

Su provvedimento emesso dal Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, che ha accolto la richiesta della Procura della Repubblica, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo hanno dato esecuzione ad un ulteriore sequestro beni per un valore complessivo di circa 400.000 euro a carico di:

  • CIRESI Girolamo, 72 anni, in atto agli arresti domiciliari nel comune di Palermo, tratto in arresto nell’ambito dell’operazione denominata “PANTA REI” per aver fatto parte della famiglia mafiosa di Palermo Borgo Vecchio, in particolare per essersi occupato costantemente di attività estorsive a imprese ed esercizi commerciali della zona.

Il quadro probatorio raccolto nell’ambito delle indagini patrimoniali, intraprese subito dopo il suo arresto, è stato in grado di dimostrare come anche tali beni nella disponibilità di CIRESI Girolamo, oltre a quelli già sequestrati nel luglio dello scorso anno, fossero in realtà il frutto delle sue attività illecite, consentendo al Tribunale di Palermo di emettere l’odierno provvedimento di sequestro riguardante i sottonotati beni:

  • 1 appartamento sito in Palermo zona Arenella;
  • 1 villetta sita in Villagrazia di Carini zona Piraineto (PA).

L’operazione “Panta Rei” (“Tutto scorre” un celebre aforisma attribuito a Eraclito un filosofo greco vissuto intorno al 500 a.C.) è stata una maxi-inchiesta dei Carabinieri di Palermo iniziata nel 2013 e conclusasi con il blitz del 16 dicembre 2015 in cui venne fuori un personaggio che dettava legge senza troppi sforzi. Trattavasi di Teresa Marino, una donna di 38 anni con cinque figli: la moglie del boss detenuto Tommaso Lo Presti, detto il Pacchione, del mandamento mafioso di Palermo Porta-Nuova.

La Marino dirigeva ogni attività criminale dell’associazione mafiosa secondo le direttive impartite dal marito detenuto, condizionando costantemente le attività illecite anche degli altri affiliati e capi famiglia, in particolare nel settore del traffico degli stupefacenti, nonché gestendo la cassa della consorteria. Secondo gli investigatori Teresa Marino sarebbe stata a capo del mandamento mafioso di Porta nuova e raccomandava alle altre signore “di non piangere in aula e non versare lacrime” quando andavano a seguire le udienze dei processi che riguardavano i mariti. E all’epoca il Comandante provinciale dei Carabinieri Giuseppe De Riggi, diceva che con lei in carcere gli affari sarebbero passati nelle mani della figlia maggiorenne (già mamma). Il titolo di capo cosca, con l’arresto della moglie del boss era già passato alla figlia, da qui il nome del blitz.

Il clan non risparmiava nessuno e strozzava anche i piccoli commercianti, artigiani, imprese, negozi di abbigliamento, supermercati. I Carabinieri ricostruirono ben 28 vicende estorsive (14 a Palermo, 14 a Bagheria), 18 consumate e 9 tentate. Tra queste c’era persino quella ai danni dell’impresa che aveva ristrutturato il liceo Vittorio Emanuele, alle spalle della Cattedrale. Nel mirino gli imprenditori operanti soprattutto nel settore dell’edilizia, costretti al versamento a Cosa nostra di somme di denaro pari al 3% del valore dell’appalto, nonché i piccoli esercenti, costretti a pagare due volte, per Natale e Pasqua.

La cosca deteneva anche il monopolio del pesce locale. Gli investigatori avevano infatti evidenziato la capillare e asfissiante influenza della mafia esercitata anche con metodi diversi dal pizzo, ad esempio con l’eliminazione violenta della concorrenza, come nel settore ittico, un’importante voce dell’economia palermitana. Un volume d’affari di svariati milioni di euro. Al punto che un’azienda storica di Palermo, il vivaio Fazio, era stata costretta a chiudere dopo decenni. Un sistema in totale violazione delle regole del libero mercato, capace di coinvolgere ristoratori e autotrasportatori. Le aziende in concorrenza con le imprese di Cosa nostra eliminate con l’imposizione degli approvvigionamenti ai pescivendoli della città, costretti a sottostare alle regole della mafia. Fino a creare lo stupore di un fornitore veneto, che sorpreso dalle dinamiche palermitane, a un certo punto ha deciso di mollare la presa e cambiare mercati.

Un famoso vivaio, il Fazio, l’11 ottobre finì nel mirino dei rapinatori, che armati di pistola assaltarono il locale. Sette giorni dopo il titolare – strangolato dalla malavita – fu costretto a chiudere.

In quell’operazione “Panta Rei” furono tre le aziende poste sotto sequestro. La Frescogel di via Tiro a Segno – gestita da Giuseppe Ruggeri (genero dello Scintilluni) – che aveva il monopolio assoluto, poi la Boutique del Pesce alla Zisa e la Wordfish di via Cappuccinelle, al Capo. Le ultime due attività entrambe di Paolo Calcagno, reggente del mandamento di Porta Nuova, con un lungo passato di rapinatore alle spalle. I Fermi furono 38 tra i quali il Girolamo Ciresi adesso oggetto di sequestro di beni e di cui sopra.

Ma come sempre quando si parla di mafie, il settore della droga è anche quello che per “Cosa nostra” riserva un’importanza fondamentale. Nel traffico di stupefacenti venivano investiti i proventi delle altre “tipiche” attività mafiose (estorsioni, usura) allo scopo di approvvigionare, dal mercato campano o piemontese, le piazze di spaccio palermitane. La grande novità fu il legame con il Sud America, con un canale attivissimo con l’Argentina. Eloquente il sequestro di 10 chilogrammi di cocaina a carico di un palermitano. Era la prima volta, dopo anni, che si assisteva ad un contatto diretto con l’estero per l’acquisto di droga.

E proprio per traffico di droga finirono nel mirino dei Carabinieri anche i Tantillo, reggenti della famiglia di Borgo Vecchio e proprietari dello storico chiosco nel cuore del quartiere. Un gruppo di persone si è riversato in strada nella notte per salutare i due fratelli colpiti dal provvedimento di fermo.

Il Borgo? Un’enclave severa nel panorama palermitano – dicevano gli inquirenti -. Una città nella città…”.

Il 7 febbraio 2019, nel processo con rito abbreviato, il Gup Nicola Aiello Mafia aveva inflitto 35 condanne e 5 assoluzioni per complessivi 268 anni di carcere. Gli imputati erano accusati di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, danneggiamento e traffico di droga.

I Pubblici ministeri Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco, che avevano coordinato l’indagine del reparto operativo dei Carabinieri, avevano chiesto complessivamente 359 anni di carcere.

Tra coloro che invece avevano scelto di essere giudicati con rito ordinario, il Collegio della Terza sezione del Tribunale di Palermo presieduto da Fabrizio La Cascia, inflisse 12 anni di carcere a Girolamo Ciresi, 5 anni a Franco Bertolino, 7 anni a Salvatore Lauricella e 13 anni e 6 mesi a Nicolò Testa per avere fatto parte dei mafiosi di Porta Nuova e Bagheria. La scelta di farsi processare con il rito ordinario ha separato la loro posizione da coloro che erano già stati giudicati, e in gran parte condannati, in abbreviato a pene severe.

Il 20 settembre 2019 in appello vi furono pene più severe. Una sentenza pesantissima. Se n primo grado le condanne erano state per oltre due secoli e mezzo, l’Appello all’operazione “Punta Rei” va oltre e scavalca la soglia dei tre secoli. Trentadue condanne, 5 assolti.

La Procura generale di Palermo aveva chiesto la condanna complessivamente a oltre tre secoli e mezzo di carcere per i 37 imputati del processo denominato “Panta Rei” che vedeva alla sbarra boss, estortori e gregari di Cosa nostra dei clan dei Porta Nuova, Villabate e Bagheria.

I Giudici della quarta sezione della Corte d’appello, presieduta da Mario Fontana, valutarono in maniera più grave i comportamenti dei singoli, perché avevano ruoli di rilievo e pertanto hanno aumentato le pene così come richiesto dall’accusa. Venne invece diminuita la pena inflitta a Teresa Marino, la moglie del boss Tommaso Lo Presti, in quanto cadde l’accusa di traffico di droga.

Ecco l’elenco degli imputati e le pene inflitte: Alessandro Bronte (11 anni e 6 mesi), Paolo Calcagno (15 anni e 4 mesi, uno anno e 4 mesi in più del primo grado), Pietro Catalano (4 anni mesi, la metà del giudizio di primo grado), Tommaso Catalano (7 anni e 8 mesi, più pesante del precedente giudizio), Carmelo D’Amico (11 anni e 4 mesi, in primo grado erano stati 10 ), Salvatore David (11 anni contro i 4 del primo grado quando era caduta l’associazione mafiosa), Francesco Paolo Desio (11 anni, tre anni in più), Giuseppe Di Cara (12 anni, ne aveva avuto 8), Pasquale Di Salvo (il collaboratore ed ex autista di Giovanni Falcone ha avuto 5 anni e 6 mesi. Dopo l’arresto ha collaborato con i magistrati, Nunzio La Torre (7 anni), Francesco Paolo Lo Iacono (10 anni e 8 mesi, ne aveva avuti 8), Teresa Marino (10 anni e 8 mesi, per lei è arrivato uno sconto), Rocco Marsalone (11 anni e 8 mesi), Andrea Militello (2 anni e 4 mesi ), Bartolomeo Militello (11 anni) Salvatore Mulè (13 anni e 4 mesi, 5 anni in più del primo grado), Giampiero Pitarresi (14 anni), Massimiliano Restivo (4 anni e 8 mesi, per lui è arrivato uno sconto di pena), Giuseppe Ruggeri (12 anni, in primo grado erano stati 3 perché era caduta l’associazione mafiosa), Antonino Salerno (5 anni), Ludovico Scurato (5 anni e 4 mesi), Domenico Tantillo (16 anni, ritenuto il capo della famiglia di Borgo Vecchio ) e Giuseppe Tantillo (5 anni grazie all’attenuante prevista per i collaboratori di giustizia), Andrea Militello (2 anni e 4 mesi), Angelo Mendola (6 anni), Antonino Abbate (6 anni), Salvatore Ingrassia (16 anni e 10 mesi, in continuazione con una precedente condanna), Giuseppe Minardi (5 anni), Gaspare Parisi (13 anni e 6 anni in continuazione con una precedente sentenza), Antonino Virruso (11 anni, 3 in più del primo grado), Vincenzo Vullo (8 anni, ma in continuazione con una precedente condanna. Per l’imputato difeso dall’avvocato Antonino Palazzotto in questo processo la pena è scesa a 2 anni), Maria Rosa Butera (1 anno, titolare del “Lido Battaglia” di Isola delle Femmine, era imputata di favoreggiamento per avere negato di avere subito richieste estorsive), Francesco Terranova (5 anni e 4 mesi). Stralciata la posizione dell’Architetto boss di Santa Flavia Salvatore Scardina già condannato in appello a 10 anni.

Assolto Massimo Monti, difeso dall’avvocato Rosario Milazzo, (che aveva avuto due anni) con la formula perché il fatto non sussiste. Il titolare della società Kursaal che gestiva la sala Bingo di via Emerico Amari era imputato per favoreggiamento.

Confermata l’assoluzione di Giuseppe Di Giovanni (era difeso dagli avvocati Giovanni Castronovo e Simona Lo Verde; su di lui pendeva una richiesta di condanna a 10 anni perché avrebbe ereditato il bastone del comando dai fratelli Tommaso e Gregorio).

Confermata l’assoluzione anche di Gaetano Tinnirello (era difeso dagli avvocati Giovanni Di Benedetto e Ida Giganti. Per lui la Procura generale aveva chiesto la condanna a 11 anni ma non ha retto l’accusa che lo inquadrava come il ‘grande vecchio’ di Cosa nostra, un personaggio storico di corso dei Mille che interveniva per dirimere le faccende più delicate).

Gli imputati sono stati condannati al risarcimento delle parti civili, tra cui il Centro studi Pio La Torre (rappresentato dagli avvocati Ettore Barcellona e Francesco Cutraro), Libero Futuro, Associazione Libero Grassi, Sos Impresa, Solidaria, Associazione vittime dell’estorsione, Confcommercio, Confesercenti, Fai, Addiopizzo, Confindustria, Associazione Antonino Caponnetto, i comuni di Villabate, Casteldaccia e Isola Delle Femmine, e alcuni imprenditori che si ribellarono al racket fra cui Gianluca Maria Calì, titolare della Calicar di Altavilla Milicia.

Dell’operazione Panta Rei” ci siamo anche occupati nell’articolo “3 Gennaio 2020 Un milione di euro confiscati a due trafficanti passano allo Stato Passano definitivamente allo Stato beni per un milione di euro confiscati dalla Polizia di Stato di Palermo a due trafficanti di sostanze stupefacenti”.

Nell’immagine di copertina il Tribunale di Palermo e uno stralcio della mappa cittadina con circoscritti Porta Nuova e Borgo Vecchio.

Adduso Sebastiano

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