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Home » Dalla residenza in America faceva eleggere il sindaco in Sicilia

Dalla residenza in America faceva eleggere il sindaco in Sicilia

di Sebastiano Adduso
2 anni fa
in Cronaca, Cronaca Sicilia, Ultime Notizie
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Da quella residenza discuteva degli incarichi di consiglieri ed assessori al comune di Torretta (PA), indicandone i nomi e incarichi.

Li chiamavano “gli scappati”, ma dagli Usa, rifugio dopo la sconfitta con i corleonesi, erano tornati. Il blitz New Connection di Polizia e Fbi, tra Palermo e New York, è stato contro il mandamento mafioso di Passo di Rigano. In manette sono finiti in 19, fra cui Salvatore Gambino, sindaco di Torretta. A vantarsi di averlo fatto eleggere Simone Zito, per ora latitante.

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Palermo-New York, lontane migliaia di chilometri ma vicine, vicinissime quando si parla di Cosa Nostra.

Un asse storico, tra la Grande Mela e il capoluogo siciliano, che torna ad essere d’attualità. La Polizia di Palermo ha inflitto un duro colpo al mandamento mafioso di Passo di Rigano, disarticolandone il vertice. Il 16 luglio infatti, più di 200 uomini della Squadra Mobile di Palermo, del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e del Federal Bureau of Investigation (FBI) di New York, hanno eseguito 19 misure cautelari disposte dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Palermo. Tra gli arrestati c’è un Gambino, un apparente insospettabile, si tratta infatti del sindaco di Torretta, Salvatore.

Nel mirino altrettanti esponenti e persone vicine al mandamento mafioso di Passo di Rigano, che dovranno rispondere, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata, concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori aggravato, concorrenza sleale aggravata dal metodo mafioso ed altro. Le indagini dell’operazione, denominata “New connection”, hanno registrato il forte legame instaurato tra Cosa Nostra palermitana e la criminalità organizzata statunitense, con particolare riferimento alla potente Gambino Crime Family di New York, nonché la forte capacità pervasiva, da parte della famiglia mafiosa di Passo di Rigano, sull’economia legale del quartiere, secondo una capillare divisione di ruoli e mansioni: dalla fornitura alimentare all’ingrosso alle classiche estorsioni, passando per la gestione dei giochi e delle scommesse on line.

Nelle intercettazioni degli investigatori, uno degli arrestati, Simone Zito, residente in America, rivela di essere stato l’artefice dell’elezione del primo cittadino di Torretta, anch’egli arrestato. Il figlio di Simone, Calogero, discute con un altro uomo dell’assegnazione degli incarichi di consiglieri ed assessori, indicandone i nomi.

Salvatore Gambino, ora ex sindaco di Torretta, sarebbe stato un sindaco nelle mani dei boss. È stato adesso sospeso dalla Prefettura di Palermo ed è in carcere per concorso in associazione mafiosa. Si era sempre parlato delle sue parentele, dirette e indirette. La moglie è nipote del mafioso Rosario Di Maggio, mentre il padre del sindaco è cugino di Antonino Pipitone, potente boss della zona.

Aveva però colpito gli Inquirenti la sua presenza al battesimo del figlio di Calogero, Christian Zito, arrestato nel blitz. In alcune conversazioni Gambino appariva sottomesso a Zito “… appena finisci mi chiami e ci aggiorniamo e stiamo un poco insieme no, stamattina abbiamo lavorato… io vorrei condividere delle riflessioni con te….”

In una intercettazione di maggio 2018, Zito proponeva il nome di una donna da inserire nella lista, tale “Rosaria…Rossana”. Ebbene, annotano gli investigatori, tra le fila della lista civica facente capo a Salvatore Gambino, figurava Rosaria Pipitone, oggi consigliere comunale di Torretta “… stasera me lo dà. Stasera mi dà il nominativo, stasera mi dà il nominativo… abbiamo bisogno di femmine compà, siamo arrivati con i maschi”, chiedeva Gambino. Risposta di Zito: “Rosaria… aspetto Rossana… Rossana può salire in consiglio”.

Nelle intercettazioni Zito riferiva dei suoi contatti con tale Totò, al quale aveva garantito l’appoggio per la nomina ad assessore di un terzo soggetto. Ma si parlava anche di assunzioni (come quelle Calogero Scalici e Mariarosa Badalamenti), nomine alla presidenza del consiglio comunale e all’ufficio tecnico. Ecco perché Zito ha fatto campagna elettorale per Gambino “… ascoltami… ci vogliono dieci voti alla Torretta per dieci voti a Capaci… gli dici… domani ci chiami a lui… e gli dici ascolta a me …se vuoi dieci voti a Capaci ci vogliono dieci voti alla Torretta”.

Ancora una volta quindi si conferma l’endemica presenza della mafia nelle elezioni amministrative.

“Per ora cerco voti” diceva uno. Rispondeva l’altro “Cerchi voti….per tuo figlioccio?“: Calogero Badalamenti e Simone Zito, arrestati nell’operazione della dda contro i clan Inzerillo e Gambino, non sapendo di essere intercettati, parlavano della corsa a sindaco. Gambino oggi è finito in cella per concorso esterno in associazione mafiosa.

“Va, in primo luogo, osservato – scrive il Gip che ha disposto l’arresto, tra gli altri di Christian Zito – come sia emerso un rapporto perfettamente simbiotico tra il sindaco e Calogero Christian Zito, nelle scelte relative alle alleanze, alle tattiche politiche, ai soggetti da inserire in lista quali candidati alla carica di consigliere comunale ed alla nomina dei tecnici“.

“Nel provvedimento del Gip è stato predisposto l’arresto di soggetti che operano nel territorio di Torretta, quelli che avevano stretto contatto con gli Stati Uniti. Coinvolto è anche il sindaco che si sarebbe messo a disposizione della famiglia mafiosa per favori di vario genere”, afferma il Procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, facendo riferimento all’arresto di Salvatore Gambino, sindaco di Torretta in provincia di Palermo.

Eloquenti del mondo dei mafiosi e specialmente siciliano (risaputamente da sempre contiguo se non anche intessuto a quello di molti politici, uomini e donne, appartenenti alle annose trasversali nomenclature), le intercettazioni.

Il capo mafia Tommaso Inzerillo temeva che le nuove leve una volta arrestate si pentissero, tanto che per questo non aveva partecipato alla riunione della nuova cupola. Inzerillo dubitava della “tenuta” delle nuove leve di Cosa nostra così come viene fuori da un’intercettazione del 22 gennaio 2019. Inzerillo era cugino del boss Totuccio ucciso nella prima guerra di mafia l’11 maggio 1981 a Palermo e parla con Giuseppe Spatola e Gabriele Militello di Leandro Greco, nipote del ‘papa’ di Cosa nostra Michele, designato a entrare nella neo costituita commissione di Cosa nostra. “Quello ha ventiquattro anni, appena entra dentro si svuota (collabora, ndr)”.

Greco però è stato poi arrestato, ma non ha collaborato con i Pm, a differenza di altri due capi mafia finiti con lui in manette, Colletti e Bisconti, che invece si sono pentiti. Inzerillo preferì mandare un suo uomo, Giovanni Buscemi.

In un’altra intercettazione, Tommaso Inzerillo ricorda la guerra di mafia coi corleonesi “È divampata per una parola sbagliata, un equivoco” dice l’8 dicembre 2017 incontrando Michele Micalizzi e il figlio pregiudicato mafioso Giuseppe “Ci troviamo a questo punto, a questo punto per una parola, a te ti sembra scherzo, è finito il mondo per una parola, un fratello non può dire una parola?”.

Il dialogo è intercettato dagli investigatori. Micalizzi risponde “È finita anche la parola”. E Inzerillo “Una! La sto dicendo qua, a parola d’onore”.  “Che stai dicendo pure tu… se tu rifletti, tirando le somme, perché stavano con Riina, basta che ci sta… una, una parola, no due, capace che neanche Riina, se quello rifletteva a questo punto non ci saremmo, mi spiego, ce ne hai, ma levati, può essere che se rifletteva a questo punto, magari, io riflettevo, perché mi volevi…”.

Parlando con un altro mafioso residente in America, Tommaso Inzerillo, ricordava la fuga negli Usa “Il divieto era da allora, come ti stavo dicendo, è una situazione di mio cugino, che alcuni se ne stanno andando in America… Altri, per dirti che qua c’è, siamo tutti bloccati, siamo grandi. Ora vediamo, ora con questa morte (si riferisce a quella di Totò Riina, ndr)… Lo vedi se Dio ce ne scampi fosse morto mio cugino e Stefano (Bontade, ndr) restava vivo”. Il riferimento è alla possibile vendetta che Bontade, capo mafia di Villagrazia trucidato da Riina, avrebbe messo in atto se fosse rimasto vivo “Quello, vedi che li azzerava”, risponde l’interlocutore “Minchia… Mamà… Cento picciotti… Centoventi erano con lui” commenta Inzerillo.

Adduso Sebastiano

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