Legare Utili e Sanità è come mischiare olio e acqua: lezione lombarda

La Lombardia ha mostrato l’incongruenza del legare utili e sanità: è come voler mischiare olio...

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La Lombardia ha mostrato l’incongruenza del legare utili e sanità: è come voler mischiare olio e acqua; l’olio galleggia, l’acqua affonda.

Legare Utili e Sanità è come mischiare olio e acqua: lezione lombarda

La Lombardia vanta un’industria sofisticata e strutture mediche di livello mondiale, eppure è stata travolta dalla prima ondata della pandemia globale, costringendo i medici a razionare ventilatori e letti d’ospedale, dovendo decidere chi sarebbe vissuto e chi, invece, sarebbe morto.

La catastrofe nella regione più ricca d’Italia è stata in parte una conseguenza dell’aver affidato gran parte del sistema sanitario pubblico a società private a scopo di lucro senza riuscire a coordinare i loro servizi.

Nei precedenti 25 anni sono stati investiti ingenti somme in specialità redditizie, come la cardiochirurgia e l’oncologia, mentre le aree che si sono trovate in prima linea con l’arrivo della pandemia, come la medicina di famiglia e la salute pubblica, sono state trascurate, lasciando le persone eccessivamente dipendenti dagli ospedali per l’assistenza.

Mentre l’Italia ora deve affrontare una brutale seconda ondata, la Lombardia è di nuovo vicina al punto di rottura, con tre quarti dei suoi letti ospedalieri occupati da pazienti Covid-19, quasi il doppio del livello considerato pericoloso dal Ministero della Salute nazionale.

È in questa realtà che, all’inizio di quest’anno, mentre il nuovo coronavirus si diffondeva dall’Asia all’Europa, la Dottoressa Chiara Lepora, medico dell’agenzia di soccorso internazionale Medici Senza Frontiere  abituata a prendersi cura delle persone in paesi come lo Yemen e il Sud Sudan, in condizioni di estrema povertà e guerra, si è trovata ad essere inviata a dare una mano nel suo Paese d’origine, l’Italia.

Più precisamente, la Dott.ssa Lepora, è stata inviata in Lombardia dove ha potuto vederne e valutarne la situazione, non solo sanitaria ma anche organizzativa, a partire dalle scelte di base effettuate per una sanità prevalentemente affidata ai privati sfavorendo, di proposito o meno, volendo o nolendo, la sanità pubblica.

In base a questa osservazione la sua analisi l’ha portata alla conclusione già evidente e sussurrata d tanti, ma mai espressa con chiarezza, e laddove espressa, fortemente osteggiata.

“Se consideri il profitto come il senso finale dell’assistenza sanitaria anziché della salute, alcune persone verranno escluse e la pandemia ha messo a nudo tutte queste debolezze”, rivelando le insidie ​​di una spinta tesa ad aprire il sistema sanitario a fornitori privati – ha detto la Dott.ssa Lepora.

Sulla stessa linea si è posto il Dott. Michele Usuelli, neonatologo di Milano che ricopre un seggio nell’assemblea regionale con Più Europa, che ha rimarcato:

“Specializzazioni come igiene e prevenzione, assistenza sanitaria di base, ambulatori, malattie infettive ed epidemiologia sono state considerate asset non strategici, non abbastanza sexy” ….. “Ecco perché abbiamo un sistema sanitario molto ben preparato per curare le malattie più complicate ma completamente impreparato a combattere qualcosa come una pandemia”.

Secondo l’ Organizzazione Mondiale della Sanità l’Italia ha subito più di 760 morti per milione di persone, più degli Stati Uniti e quasi quanti la Gran Bretagna e, a metà ottobre, circa la metà delle morti italiane era avvenuta in Lombardia .

Il numero dei defunti del paese ora è di oltre 47.000 eppure la Lombardia continua a non voler ammettere il fallimento di una scelta quantomeno poco assennata (di fatto sciagurata perché fatta su una scia di soldi svolazzanti in e da ogni dove).

Le radici del cambiamento della Lombardia risalgono al 1995, quando Roberto Formigoni divenne il Presidente regionale e, in tale veste, instaurò il corso di una legislazione che consentì a fornitori privati ​​di servire i pazienti con malattie più remunerative ( che sapeva, e tutt’ora sa, scegliere con cura) riscuotendo il pagamento dal sistema sanitario regionale finanziato dai contribuenti.

Molti, da allora, hanno abbracciato il cambiamento come un’innovazione alla quale si dava il merito di aver portato la concorrenza anche nella sanità costringendo ospedali e cliniche pubbliche a migliorare. In realtà era ed è stato tutt’altro.

In primis il discrimine tra le malattie per le quali offrire i propri servizi, il che ha portato ad avere che SOLO quelle più “redditizie” e meno problematiche erano e sono da queste seguite.

Poi, cosa non secondaria anzi magari proprio alla base di tutta l’operazione di trasformazione e di trasferimento di cure, c’è stata (e magari ancora persiste) la corruzione.

Corruzione che ben galleggiava (come l’olio sull’acqua) sul mare della sanità assorbendone il “Plancton più nutriente” (soldi e tangenti) per ben vivere e crescere come è emerso proprio anche con il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni.

Formigoni, infatti, fu l’artefice di questa deviazione e, guarda caso, fu poi condannato a scontare più di cinque anni di prigione per aver accettato (ottenute) gite in yacht, vacanze in lussuosi resort caraibici e vari doni da un lobbista per fornitori di servizi medici privati come segno di “stima” per il suo modo di guidare gli affari della regione sulla scia della nuova tendenza.

Tendenza che, a quanto dicono gli esperti che si sbilanciano a parlare chiaramente, è una realtà che viaggia in parallelo con la “privatizzazione” e che è continuata anche dopo che Formigoni ha lasciato l’incarico nel 2013 visto che, di fatto, nulla è cambiato nel rapporto sanità statale/privata con i travasi dalla prima alla seconda senza nemmeno sfiorare, ancora una volta, nemmeno una delle cose basilari:

condizionare la disponibilità dello Stato a pagare i trattamenti presso centri privati (oncologici all’avanguardia o altra specializzazione redditizia da essi scelta) sulla promessa che questi ​​avrebbero fornito anche servizi meno redditizi come l’assistenza geriatrica, servizi per l’igiene e la prevenzione, assistenza sanitaria di base, ambulatori, malattie infettive ed epidemiologia ecce cc.

Insomma, pretendere che le stesse operassero in vera paritaria fornitura di servizi e non di “sciacallaggio” di reddito da realizzare scegliendosi solo i frutti morbidi e ben maturi lasciando al pubblico tutto il resto più problematico, veramente costoso, e quindi per niente remunerativo.

Su questa linea di pensiero (e di corretta analisi) troviamo anche il Dott. Francesco Paolucci, professore di economia e politica sanitaria all’Università di Bologna, che osserva:

“Hanno dato il permesso al settore privato di aprire più o meno quello che volevano” …. “È stata un’occasione completamente persa per ritenere le aziende private responsabili della loro responsabilità sociale”.

Altro danno collaterale lo si è avuto dal fatto che ha focalizzato l’attenzione dei nuovi dottorandi verso le specialità redditizie, abbandonando così la medicina generale tant’è che, nel 2016, la Lombardia che conta oltre 10 milioni di persone, ha visto solo 90 laureati in medicina proseguire gli studi specialistici per diventare medici di medicina generale.

Questi pochi volenterosi, inoltre, si sono trovati discriminati sin dalla partenza visto che hanno ricevuto borse di studio annuali di solo 11.000 euro il che è meno della metà di quelle garantite ai colleghi che seguono la scia del filone più redditizio e si preparano, ad esempio, per specialità come la cardiologia.

Ed è così che anno dopo anno, come affermano le stesse associazioni mediche, i numeri dei nuovi Medici Generici sono stati sempre meno di quelli che sarebbero stati (e saranno) necessari per sostituire i Medici di medicina generale che vanno in pensione.

Da qui, con le migliori menti mediche concentrate su cure avanzate, l’inevitabile conseguenza della capacità della Lombardia nel poter fornire cure mediche di base e salvaguardare la salute pubblica.

Un’ulteriore riprova, se proprio ne necessitasse altra, la si ha osservando che, secondo i dati ufficiali analizzati dal Dott. Usuelli, negli ultimi dieci anni la spesa sanitaria totale in Lombardia è aumentata dell’11%, mentre il sostegno alle cure primarie è stato tagliato del 3%.

Come se non bastasse, con una legge del 2015 con la quale ha centralizzato i servizi per le malattie croniche negli ospedali, diminuendo ulteriormente il ruolo dei medici di base nell’aiutare a mantenere sani i loro pazienti, la Lombardia sembra aver aggravato ancor più i suoi problemi.

Nel merito anche il Dott. Marco Cambielli, un gastroenterologo a capo di un’associazione di medici e dentisti nella città di Varese, evidenzia che “Si trattava di razionalizzare i costi ed evitare sprechi, ma in realtà ha causato la perdita del rapporto tra i pazienti e i loro medici generici.”

Nella vicina regione Veneto, un sistema sanitario incentrato sulla cosiddetta community care – in cui medici di famiglia e infermieri facevano visite domiciliari con un occhio di riguardo alla prevenzione – ha dato risultati decisamente migliori.

Lì, i medici di base e un efficace sforzo di ricerca dei contatti hanno impedito a un’ondata di persone di raggiungere gli ospedali.

“I medici di famiglia sono un costo”, ha detto Filippo Anelli, presidente della federazione nazionale medici e dentisti. “Se la mentalità è che devi guadagnare con l’assistenza sanitaria, l’investimento nella medicina di comunità sembra chiaramente meno remunerativo”.

Il Dott. Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei Medici e dei Dentisti di Milano aggiunge che, quando la prima ondata ha colpito l’Italia, Milano – una città di oltre 1,3 milioni – aveva SOLO cinque medici esperti in sanità pubblica e igiene.

SOLO 5 Dottori, quindi, che si sono ritrovati responsabili della creazione di un regime di test e tracciamento dei contatti.

Da allora la Regione ha assunto più personale medico, eppure il mese scorso il dipartimento di salute della Lombardia ha comunicato ai medici che l’agenzia “non può più condurre un’indagine epidemiologica tempestiva”.

Un avviso tanto inopportuno quanto inquietante visto che le morti quotidiane da Covid in Italia sono quasi triplicate nelle ultime due settimane, con la Lombardia che si ritrova ad essere, ancora una volta, la locomotiva d’Italia ma nel male: nella diffusione del Covid.

In conclusione, come l’olio non si può mischiare con l’acqua, così la Sanità non può mischiarsi con la mentalità affaristica che mette in primo piano l’utile tanto che, chi volesse porvi rimedio, viene subito attaccato e travolto da un mare di accuse e recriminazione.

Mal’analisi e valutazione delle priorità che si evidenzia, vuoi negli ospedali pubblici che in quelli privati, anche quando qualcuno prova, ad esempio, a contenere i ricoveri: si scontrano immediatamente, ad esempio, anche con i servizi esterni di pulizia, fornitura pasti e altre funzioni affidate, a loro volta, ad altre ditte esterne, private anch’esse, che lamentano mancati guadagni.

Insomma: i guadagni sono sempre al primo posto e appaiono essere l’unica finalità di tutto quanto ruota attorno, e nella, Sanità.

E questa è l’amara situazione a tutti noti, ma da tutti volutamente ignorata tanto che si ha l’impressione che, sulla Sanità Privata, ci sia un invisibile cartello del tipo: Chi tocca i fili muore.

Che altro dire se non ribadire: “Io speriamo che me la cavo”, (guarda video), unitamente a: Povera Patria (guarda il video)

Legare utili e sanità è come mischiare olio e acqua: lezione lombarda / Stanislao Barretta

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