I vignaioli coraggiosi delle Cinque Terre

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Tra le difficoltà che devono superare i vignaioli delle Cinque Terre c’è anche il dislivello: il mezzo è un carrello su un microbinario

In Liguria, i vignaioli delle Cinque Terre, durante la vendemmia raccolgono l’uva affrontando centinaia di metri di dislivello. Da oltre trent’anni, per portare i grappoli su e giù, i contadini usano le monorotaie. Il loro è un lavoro fondamentale per impedire le frane.

“Noi, vignaioli estremi delle Cinque Terre” FLAVIA AMABILE*

In Liguria coltivano l’uva affrontando centinaia di metri di dislivello. Un lavoro fondamentale per impedire le frane. “Ma non abbiamo eredi”

Gianfranco Vita tira con energia il laccio: il motore si accende con uno schiocco che diventa poco dopo uno scoppiettio allegro. «È pronta? Allora saliamo? Dai che partiamo».

Saliamo. Parte dalle colline sopra Manarola una delle 50 monorotaie che da oltre trent’anni aiutano i contadini delle Cinque Terre a portare l’uva su e giù per centinaia di metri di dislivello delle terrazze durante la vendemmia. Un posto guida, due carrelli e un binarietto stretto con una pendenza da sport estremi.

In genere sui carrelli vengono caricati duecento chili di uva. In questo sabato mattina all’alba li usiamo per vedere da vicino il disastro che si sta consumando sulle colline della Liguria, il tempio dello Sciacchetrà, uno dei miracoli dell’arte vinicola italiana, un prodotto da meditazione che nelle sue versioni più raffinate può aver bisogno anche di cinque anni prima di arrivare in bottiglia. Il primo di questi cinque anni viene trascorso tra vigneti dove bisogna strisciare per vendemmiare, potare, piegare i tralci. Visti dal trenino, i giardini d’uva diventano una rapida apparizione di terrazze curate in mezzo ad un panorama di rovi, pini, bosco che si stanno impadronendo di una terra dove si resiste se si è eroi. Gli altri la abbandonano.

Ecco come l’uva si coltiva affrontando centinaia di metri di dislivello sul mare

«Eroi? Siamo stufi di esserlo, preferiremmo la normalità e ricavare come tutti dalla nostra attività quello che serve per farci vivere. Invece pur affrontando difficoltà estreme, pur lavorando per l’umanità perché proteggiamo un patrimonio protetto dall’Unesco, non solo non ci danno una medaglia ma ci massacrano con la burocrazia e leggi buone solo a complicarci la vita», si sfoga Matteo Bonanini, 60 anni, 1500 metri di vigneto alle Cinque Terre e due figli ventenni. I figli non hanno mai fatto più di quattro passi nel vigneto e Matteo è il più giovane dei soci della cantina sociale della zona di cui è presidente.

Sembra l’emblema del dramma delle Cinque Terre. Sulle colline coltivate a terrazze si produce uno dei vini più ricercati al mondo, ma non è chiaro se ci sarà ancora qualcuno a occuparsene fra venti anni. Ai piedi delle colline si apre un tratto di costa di una bellezza struggente. Ogni anno arrivano centinaia di migliaia di turisti a percorrere il Sentiero dell’Amore, a fare il bagno tra le sue cale di roccia scura e acqua cristallina, o a risalire i sentieri del Parco Nazionale. Ma se nessuno continuerà a coltivare i vigneti chi garantirà contro il rischio di frane?

Matteo allarga le braccia, sconfortato: «Non siamo riusciti a invertire la tendenza. Avevamo 500 ettari di vigneti negli anni Cinquanta, oggi ce ne sono 80 e sono scomparse le viti al di sotto dei 200 metri. Abbiamo provato in ogni modo a aiutare i vignaioli: abbiamo realizzato i trenini, un acquedotto, la cantina sociale. Abbiamo limitato l’abbandono ma il destino è segnato se non cambia qualcosa».

E allora gli anziani delle Cinque Terre hanno deciso di fare da soli. Appena si sparge in giro la notizia che qualcuno ha deciso di coltivare i vigneti vanno a offrirgli i loro terreni. E’ un comodato d’uso: non guadagnano nulla ma almeno i vigneti non restano abbandonati e non si corre il rischio di veder cadere tutto dopo un temporale d’inverno come troppo spesso sta accadendo.

Tanti di questi anziani sono andati a bussare alla porta di Alessandro Crovara, 43 anni, partito dieci anni fa con tremila metri di terreno e una fortissima voglia di farcela. A qualcuno ha dovuto dire di no, «Erano troppo lontani, sarebbe stato difficilissimo occuparsene», spiega. Altri, invece, li ha accettati ben volentieri. Tra un comodato e l’altro, oggi ha quasi un ettaro di vigneto e ha deciso il grande salto. Dopo dieci anni di doppia vita – impiegato in una cooperativa nei giorni feriali, vignaiolo nel tempo libero – ha lasciato l’altro lavoro e ha scelto la terra.

Non sono in molti ad avere il suo coraggio. In totale si contano al massimo 250 vignaioli nella zona: una cinquantina lavora in proprio, gli altri portano le loro uve alla cantina sociale. Ma ad avere meno di 50 anni sono non più di venti e la stragrande maggioranza di loro si occupano del vigneto solo nel tempo libero.

I motivi dell’abbandono sono nel paesaggio che si incontra mentre il trenino corre tra le colline: muretti caduti che nessuno ha i soldi per riparare, reti e cavi elettrici per tenere lontani i cinghiali e i loro danni, sentieri ripidi e sconnessi dove si corre il rischio di rompersi l’osso del collo ad ogni passo. Sullo sfondo il mare e uno scorcio del borgo di Manarola. «Rende di più una camera da affittare che un ettaro di vigneto da coltivare», spiega Gianfranco Vita, enologo della cantina sociale delle Cinque Terre. Il calcolo è semplice e spietato. Chi riesce ad avere un ettaro di vigneto può produrre al massimo 90 quintali. Li vende a due euro e mezzo al chilo, nella migliore delle ipotesi vuol dire ricavarne circa 22 mila euro. Si calcolano mille euro di spese tra fitofarmaci, concimi, irrigazione e uso della monorotaia. Restano 21 mila euro. Vuol dire che si lavora un anno intero con il freddo, il caldo, potando e vendemmiando schiena a terra per ottenere 1770 euro al mese. Senza straordinari nè tredicesime e con le tasse ancora da pagare. Eroi? No, secondo Alessandro Crovara: «Mi considero più fortunato che eroe: posso lavorare nella mia terra. Vorrei solo che mi rendessero la vita meno difficile».

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