Regione Siciliana, altro disavanzo di 400 milioni di euro e si arriva al momento a 7,3 miliardi

Alla Regione si scopre un altro buco di 400 milioni. Il disavanzo cresce a 7,3...

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Alla Regione si scopre un altro buco di 400 milioni. Il disavanzo cresce a 7,3 miliardi. Approvato il rendiconto che andrà al vaglio delle Corte dei Conti.

Già la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti aveva condannato la Regione siciliana al pagamento di 2,14 miliardi per ripianare il disavanzo del 2017.

Da alcune delibere della Giunta pubblicate nella prima metà di luglio, si constatava che il Governo regionale di centrodestra del Presidente Nello Musumeci aveva quindi dovuto ritirare il vecchio rendiconto che la Corte dei Conti aveva contestato. La Giunta ha così approvato un nuovo consuntivo della Regione e un nuovo “piano di rientro del disavanzo per il pareggio di bilancio”. Anche quest’anno dunque si dovrà parlare di disavanzo, ormai una consuetudine da decenni nei bilanci regionali.

In questo nuovo rendiconto del luglio scorso, inerente l’anno 2018 e redatto secondo le indicazioni della Corte dei Conti, è stato scoperto un nuovo disavanzo, ovverosia un nuovo sbilanciamento fra le entrate e le uscite di 1,3 miliardi. Un risultato negativo sui conti traballanti della Regione che peserà sulle politiche del Governo Musumeci che al momento ha dovuto approvare una previsione di spalmatura in tre anni: 223 milioni nel 2019, 578 milioni nel 2020 e 560 nel 2021. Così all’orizzonte si prefigura la necessità di fare fronte al bisogno di coperture con “specifiche riduzioni di spesa” che verranno determinate già a partire dalla discussione della legge di assestamento di bilancio che l’Ars dovrebbe votare in autunno dopo il giudizio di parifica che la Corte dei Conti emetterà sul rendiconto della Regione per il 2018. La Regione ha però realizzato un’operazione di “riconciliazione fra le voci del bilancio” che dovrebbe rendere i numeri definitivamente corretti. E, infatti, l’assessore all’Economia Gaetano Armao ha commentato: “Abbiamo pulito il bilancio. A noi è toccata l’eredità pesantissima di 30 anni di gestione”.

Solo che in questo mese di agosto, all’approvazione bilancio della Regione siciliana 2018, rettificato secondo i nuovi principi contabili e le indicazioni della Corte dei Conti, in cui sono stati rivisti i bilanci degli ultimi 30 anni per trovare probabili errori che spiegassero una serie di anomalie a cominciare dall’iscrizione in bilancio di somme in disavanzo su fondi extraregionali, sono emersi altri 400 milioni di euro di disavanzo.

“Dalla complessa attività di ricognizione contabile svolta dalla Ragioneria generale sulle rubriche dei diversi dipartimenti regionali sono emerse registrazioni inappropriate in un primo tempo computabili in oltre 2,7 miliardi di euro, in gran parte risalenti ai primi anni ’90 – si legge ancora nella mota tecnica della Regione – poi ridottesi, con la collaborazione degli uffici che hanno definito le riconciliazioni contabili, a circa 400 milioni di euro e questi ultimi in gran parte riconducibili a fondi vincolati riguardanti l’Assessorato alla sanità, oggi Salute”.

“In esito a tale complessa attività della Ragioneria, peraltro completata in breve termine, le quote vincolate del risultato di amministrazione sono risultate pari a 3.623 milioni di euro (la prima stesura esponeva 3.210 milioni di euro) mentre il disavanzo delle quote libere è pari a circa 7,3 miliardi di euro e quindi maggiore di circa 400 milioni di euro rispetto alla quantificazione precedente (circa 6,9 miliardi di euro). Importo per il quale si dovrà procedere, se confermato in sede di parifica, al ripianamento nelle forme di legge” conclude la nota.

Il rendiconto è adesso al vaglio della Corte dei Conti che potrà convocare l’udienza di parifica.

Intanto durante l’audizione in commissione Bilancio dell’Ars della Sezione di controllo della Corte dei conti, presieduta da Maurizio Graffeo, che ha presentato la relazione sul Defr (Documento di economia e finanza regionale) per gli anni 2018-2020, la cui approvazione è stata rinviata a prima della seduta dell’Aula, è stata evidenziata un’altra anomalia dalla Corte dei Conti e riguarda le partecipate “Il quadro tendenziale allegato al Defr 2018-2020 non tiene conto degli enti regionali. Carente è il sistema dei controlli che non vengono effettuati sui bilanci degli enti”. Qualche spiraglio arriva, invece, “per le spese sanitarie (9.217 milioni) che per l’esercizio 2018 segnano una riduzione di oltre 500 milioni rispetto al preconsuntivo 2017”. Difatti sono stati tagliati servizi e posti letto e aumentati ed estesi i ticket sanitari, In sostanza sta pagando il bue-cittadino sicché di contro si ha un risparmio nei conti della Regione che per questo pensa bene di premiare i propri quasi duemila dirigenti.

L’opinione.

Qualunque alchimia contabile si effettui per far (virtualmente) quadrare i conti, sia a livello nazionale, regionale che comunale (e in Italia siamo dei maestri dell’ipocrisia anche nei bilanci specialmente pubblici), poi il debito portato (teoricamente) a pareggio deve comunque essere materialmente ripianato. Ora, ciò che sembra non riusciamo a comprendere noi cittadini (come se avessimo inculcato un blocco culturale) è che quando si scrive da parte dello Stato, Regioni, Comuni e rispettive propaggini (partecipate, società, ecc.): il debito negli anni sarà “spalmato”, significa in termini pratici che sono i contribuenti regolari, quelli con lo stipendio interamente dichiarato o con i patrimoni alla luce del sole oppure i loro eredi, a doversene fare carico con tributi e meno servizi, pertanto subendo (per carità tutto costituzionale) l’estorsione fiscale e un lento immiserimento socio-economico individuale e delle famiglie. Questo argomento è come un tabù in Italia e specialmente in Sicilia, soprattutto nei nostri media e informazione, nazionali, regionali e locali. Forse più a sinistra che a destra la quale ultima però si mimetizza facendo la morale che bisogna risparmiare (sugli altri). Ma non solo la Regione Sicilia, anche i nostri Comuni sono risaputamente indebitati, persino quelli che si autodefiniscono virtuosi. Infatti sotto gli occhi di chi può e vuole vedere, spendono e spandono, specialmente in clientelismo per le rispettive pletore di profittatori, mercenari e squillo, anche per corrotti, delinquenti e mafiosi, oppure per scambio di voto con gli altri compaesani ancora non “acquisiti” e indifferentemente che siano di diversa estrazione, poiché ormai il favoritismo e la prostituzione politica sono stati di tutta evidenza introitati nella generale cultura italiana quasi come una virtù di scaltrezza e necessaria doppiezza. O ancora per coprire i propri interessi personali e di appartenenza, quindi eludere la propria interiore asocialità, le Amministrazioni locali indicono nel proprio feudo anche tanto “panem et circenses”. Poi si scopre che devono ricorrere alla “tesoreria comunale”, che non è il pozzo senza fondo che comunemente s’immagina, bensì una o più banche a cui l’Ente (ma anche la Regione con la Tesoreria regionale) attinge facendosi prestare soldi, i quali sono garantiti dalle tasse dei cittadini e rispettivi beni e su cui si corrispondono interessi (la Regione siciliana li versa nell’ordine di diverse centinaia di milioni di euro l’anno) che vengono anch’essi pagati dai buoi-contribuenti noti (mentre i tanti evasori stanno tranquilli e sono i primi a chiedere baldoria e sperperi offrendo i loro voti all’Amministrazione di turno o ai trasversali Parlamentari). Non ci sono leggi chiare, in Italia come in Sicilia, serie e severe che controllano tutto questo scivolamento verso il baratro. Da queste pagine si è sempre (vanamente) cercato di sollecitare tutto l’arco politico attuale, cogliendo anche appelli di autorevoli rappresentanti della Magistratura, affinché quanto meno si ripristinino degli Organi di controllo ma rigorosi e anche formalmente accessibili ai cittadini che desiderano civilmente vigilare senza costi aggiunti. Poi, ci sono, si dice, pure Autorità preposte compiacenti e troppo vicine alla trasversale politica di sempre, ma per carità, anche questo, tutto costituzionale. Fino a che dura.

Adduso Sebastiano

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