Migranti, il richiamo dell’Ue all’Italia

Il Consiglio d’Europa bacchetta l’Italia sulla gestione dei migranti. Nel mirino vi sono accoglienza e...

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Il Consiglio d’Europa bacchetta l’Italia sulla gestione dei migranti. Nel mirino vi sono accoglienza e rimpatri, giudicati insoddisfacenti. Come scrive Francesco Grignetti il richiamo dell’Ue non fa piacere al governo italiano che adesso deve correre ai ripari per istituire nuove procedure, soprattutto per quanto riguarda i minorenni.

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BRUXELLES – Procedure di identificazione non efficaci, condizioni nei centri di accoglienza ai limiti del rispetto dei diritti umani, gestione opaca degli hotspot, scarsa informazione ai migranti sui loro diritti, poca protezione ai minori non accompagnati, lentezza nelle procedure d’asilo e debolezze nel sistema dei rimpatri.

La fotografia scattata dal Consiglio d’Europa sull’Italia è allarmante. Il rapporto sulla gestione dell’immigrazione nel nostro Paese dice che «l’Italia non ce la può fare da sola». Perché i flussi in entrata sono massicci (più di 180 mila arrivi nel 2016, oltre 15 mila dall’inizio del 2017), ma soprattutto perché le cose funzionano malissimo in tutti gli step: registrazione, accoglienza, iter burocratici e rimpatri. Anche sulla mancata redistribuzione dei richiedenti asilo, frenata dalle resistenze degli altri Stati Ue, l’Italia ha le sue colpe per via degli «ostacoli burocratici».

Va detto che la missione del Consiglio d’Europa risale all’ottobre scorso. Nel frattempo in Italia è cambiato il governo e quello guidato da Paolo Gentiloni ha adottato un pacchetto-immigrazione che interviene soprattutto su rimpatri e gestione dei richiedenti asilo. Ma chiaramente ci vorrà un po’ di tempo prima che le cose cambino e dunque le défaillance attuali non fanno altro che fornire valide ragioni ai governi che si rifiutano di aiutare l’Italia, accusandola di una malagestione del fenomeno.

Prendiamo il momento in cui i migranti mettono per la prima volta piede in Italia. «La maggior non transita dagli hotspot» scrive il Consiglio. Vengono sbarcati in altri porti e le operazioni «possono durare fino a diversi giorni». Qui «le procedure non sempre garantiscono una identificazione effettiva e un’adeguata informazione». Molti non sanno nemmeno che possono chiedere diritto d’asilo. «In alcuni posti – si legge nel report – viene chiesto ai migranti se vogliono lavorare in Italia. In caso di risposta affermativa, vengono subito classificati come “migranti economici”, anche se fuggono dal loro Paese per altri motivi». Al tempo stesso, però, si dà conto del fatto che l’Italia è molto «generosa» nel concedere la protezione per motivi «umanitari».

La permanenza massima negli hotspot è di 72 ore, ma a Lampedusa sono stati individuati minorenni «che erano lì da due mesi», in condizioni igieniche precarie. I migranti negli hotspot avrebbero poi diritto a una dotazione di 2,5 euro al giorno, ma «a Lampedusa sigarette e biscotti hanno rimpiazzato il denaro contante». In Italia «non esiste un quadro giuridico unico per gli hotspot» per questo «le condizioni variano di molto da centro a centro». Gli appalti per la gestione vengono fatti «seguendo solo il criterio del massimo ribasso», spesso sulla base di «considerazioni politiche locali» e a volte chi si aggiudica la gara «non ha alcuna esperienza nel settore». «Le grandi somme in gioco – si legge nel rapporto – aprono chiaramente la via a fenomeni di corruzione. La gestione è diventata una manna per imprenditori poco scrupolosi». Strasburgo dà conto di un’inchiesta in corso per verificare «infiltrazioni mafiose nelle società vincitrici degli appalti» per i centri.

Gli altri nodi riguardano il fatto che «non vengono assicurati aiuto e protezione necessari ai minori non accompagnati» e che anche chi ha ottenuto lo status di rifugiato «non ha i mezzi per ricostruirsi una vita». «Questo – conclude il Consiglio – ha favorito lo sviluppo di accampamenti selvaggi in cui si vive in condizioni rudimentali».

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