Se l’ anidride carbonica fosse densa e puzzolente se ne comprenderebbe il pericolo

Forse solo se l’ anidride carbonica avesse odore capiremmo il vero pericolo, scrive il meteorologo...

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Forse solo se l’ anidride carbonica avesse odore capiremmo il vero pericolo, scrive il meteorologo e climatologo Luca Mercalli. Le percentuali di anidride carbonica nell’aria nel 2015 registrano l’inizio di una nuova era per la storia del clima. È stata superata la soglia delle quattrocento parti di C02 per milione.

Se la CO2 avesse odore capiremmo il vero pericolo

Mai era capitata nella storia una concentrazione così alta

Se la CO2 – l’anidride carbonica, o meglio il biossido di carbonio secondo la moderna nomenclatura chimica – fosse densa e puzzolente, capiremmo subito cosa vuol dire aver raggiunto nell’atmosfera il valore simbolico di 400 parti per milione in volume, il massimo da almeno una milionata di anni. Invece è incolore e inodore, e dobbiamo dunque fidarci delle analisi della scienza.

La CO2 è il principale gas a effetto serra del miscuglio che emettiamo con le nostre attività, in primis la combustione di carbone, petrolio e gas. Della proprietà dell’atmosfera di trattenere una parte della radiazione infrarossa che – una volta ricevuta dal Sole – la Terra dovrebbe poter dissipare verso lo spazio, si era già accorto il matematico francese Jean Baptiste Fourier nel 1827. Poi lo svedese Svante Arrhenius, premio Nobel per la chimica, nel 1896 propone per primo la teoria dell’influenza della CO2 prodotta dalle attività umane sull’aumento della temperatura, all’epoca ancora impercettibile, e prevede un surriscaldamento di circa 4 °C al raddoppio della concentrazione preindustriale, valore non così lontano da quanto calcolato dai moderni modelli di simulazione.

Tuttavia, tra i subbugli delle guerre mondiali, passano alcuni decenni prima che l’argomento venga ripreso, con le conferme del fisico canadese Gilbert Plass alla metà degli Anni Cinquanta, poi nel 1958 ecco le prime misure strumentali della quantità di CO2 nell’aria avviate da Charles Keeling sul Monte Mauna Loa, alle Hawaii: in suo onore oggi questo grafico crescente si chiama «curva di Keeling». Nel 1965 il glaciologo francese Claude Lorius, nel gelo dell’Antartide, osservando un pezzo di ghiaccio antico in un bicchiere di whisky, vede uscire delle bollicine e intuisce che si tratta di aria di un passato remoto: questa idea permetterà tramite carotaggi profondi di ricostruire la quantità di CO2 per centinaia di migliaia di anni.

Ne parla il bel film «La glace et le ciel» di Luc Jacquet. In seguito, il progetto europeo Epica, a forte partecipazione italiana, ha perforato l’Antartide fino a 3200 metri di profondità, e nel 2005 ha ricavato uno dei più rilevanti risultati scientifici: mai in 800.000 anni la CO2 ha superato quota 300 parti per milione, il dato attuale è dunque inedito e fuori da ogni riferimento storico. E visto che più gas serra significa più aumento di temperatura ecco, con molto ritardo rispetto ai primi allarmi di oltre 50 anni fa, l’accordo di Parigi, recentemente ratificato: o cerchiamo di contenere l’aumento di CO2 nei prossimi decenni bloccando l’incremento di temperatura non oltre i due gradi a fine secolo, o rischiamo di avventurarci in territori davvero pericolosi per l’umanità, con aumenti fino a cinque gradi, dalle conseguenze devastanti. La transizione verso un’economia sostenibile non è solo urgente, ma è già in ritardo: questo numero tondo di tre cifre che cresce di circa due unità all’anno ce lo deve ricordare ogni giorno, è l’unico modo di visualizzare ciò che è trasparente ai nostri occhi ma non alla radiazione infrarossa!

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