Quei volti femminili della protesta FRANCESCA SFORZA *

FRANCESCA SFORZA – E se la scomposta maratona per l’emancipazione femminile – disseminata di ostacoli,...

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FRANCESCA SFORZA – E se la scomposta maratona per l’emancipazione femminile – disseminata di ostacoli, ritardi, false partenze e fughe in avanti – passasse anche per il populismo? Guardiamoci intorno: Marine Le Pen in Francia, Beata Szydlo in Polonia, Frauke Petry in Germania, mentre all’orizzonte politico italiano si delineano i profili di Virginia Raggi e Chiara Appendino, candidate a Roma e Torino del Movimento 5 Stelle.

FRANCESCA SFORZA – E di Giorgia Meloni, decisa a riconquistare la scena della capitale «mettendo a disposizione» la sua candidatura per un centrodestra decisamente in affanno. Tutte diverse, tutte donne, ognuna capace di usare un linguaggio che colpisce nel segno di un elettorato deluso, sfiancato, impoverito, arrabbiato. Parole concrete, come quelle usate da Marine Le Pen durante un messaggio video che la ritrae nelle campagne francesi mentre visita gli allevamenti, si siede a guardare i vitelli, li accarezza e mette loro le mani in bocca per osservarne la dentatura: «Ho parlato con gli agricoltori francesi – dice al temine della visita – Mi hanno detto delle loro difficoltà, di tutte le cose che vorrebbero ma che non possono fare. Sapete chi è che glielo impedisce? Le leggi dell’Europa».

Quel modo rassicurante che hanno le casalinghe quando fanno i conti delle entrate e delle uscite in una famiglia è stato ad esempio tra i motivi che hanno portato alla vittoria, in Polonia, della pupilla di Kaczynsky Beata Szydlo, una che vive accanto ai genitori anziani, con l’orgoglio di due figli tirati su insieme al marito, uno medico, l’altro in seminario, raccogliendo così l’eredità più tradizionale della provincia polacca, il cui sogno è avere un figlio medico o uno prete. C’è il radicamento nei valori cattolici, il fisico rassicurante di una madre di famiglia, il rossetto a tinte forti nelle occasioni importanti, come durante la visita al parlamento di Bruxelles, ma non tutti i giorni, che non ce n’è bisogno. Una politica di rottura, la sua, che potrebbe mandare in mille pezzi il sogno europeo, ma che indossa i panni dimessi di una signora di mezza età. Beata non si è mai stancata di ripetere che come donna «doveva dimostrare di più», in un mondo dove si lavora duro e intorno sono tutti uomini. «Salti mortali», li ha definiti Virginia Raggi, quelli che ogni donna deve fare ogni giorno per tenere insieme impegno pubblico e vita privata, che hanno fatto tentennare Giorgia Meloni all’idea di ritrovarsi al settimo mese di gravidanza con le grane di un sindaco, ma che alla fine – di fronte al dilemma se era più di destra stare a casa a fare la mamma o buttarsi nella mischia vada come vada – le hanno fatto decidere che la sfida valeva comunque la pena di essere raccolta. Decisione che si è rivelata tanto più indovinata dopo l’infelice uscita di Guido Bertolaso – «Faccia la mamma, lasci stare la politica» – che ha definitivamente messo Giorgia, almeno in questa occasione, dalla parte giusta della storia.

C’è anche la chiusura degli apparati dei partiti tradizionali a fare da propulsore al fenomeno delle donne populiste: quanta anticamera avrebbe dovuto fare una come Frauke Petry per arrivare nella stanza dei bottoni di una Cdu o di una Spd? Quando l’hanno invitata nel salotto tv di Sandra Maischberger, Petry era l’unica donna sotto i cinquant’anni presente in studio, ed era piuttosto sorprendente osservare come di fronte ai video del suo popolo estremista e anti-migranti mostrasse un contegno imperturbabile, come a dire: «Sono ragazzi, non xenofobi, la democrazia non è rappresentata dai partiti al potere». A un elettore deluso e stanco, l’unica viva in quel talk show sembrava lei.

Nell’Europa divisa tra il politicamente corretto e l’odio per gli stranieri votare per una donna fa meno paura, come se il dato di violenza si riducesse in virtù di una questione di genere; e nell’Europa astratta delle regole votare per una donna dà l’impressione di accorciare le distanze, come se preferire la concretezza e i metodi spicci fosse sufficiente ad avvicinare le esigenze dei cittadini a una burocrazia farraginosa e lontana. Delle volte però il confine fra politiche conservatrici e reazionarie è difficile da governare, e gli esiti di un consenso conquistato a colpi di slogan non sono sempre prevedibili. Il messaggio in compenso è chiaro, e il mittente è un’altra donna – Angela Merkel– che i tedeschi amavano fino a che si comportava come una brava amministratrice di condominio, ma che hanno smesso di amare quando ha deciso di passare alla storia.

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