Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party, vuole restare nella UE

Restare nell’Ue – scrive Bill Emmott – è una scommessa che la leader dello Scottish...

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Restare nell’Ue – scrive Bill Emmott – è una scommessa che la leader dello Scottish National Party, Nicola Sturgeon, ha buone probabilità di vincere. Intanto Londra è pronta a imboccare la strada della Brexit, ma la Scozia scuote l’Unione annunciando un nuovo referendum sull’indipendenza di Edimburgo ed Erdogan minaccia l’Olanda che vota domani: stop al dialogo diplomatico mentre Mark Rutte vira a destra per respingere il populista Geert Wilders.

La scommessa separatista contro Londra

Se vi piace l’azzardo, potreste fare la scommessa che, per la fine del 2019, il mondo avrà un nuovo Paese indipendente, la Scozia, e che l’unione durata 300 anni tra l’Inghilterra e la Scozia che dette vita al Regno Unito si spezzerà. Oggi appare assai probabile che gli elettori britannici che nel 2016 hanno rotto un’Unione, quella Europea, nel 2018 o 2019 ne romperanno un’altra, la loro.

Se non altro, questa è la scommessa che la leader dello Scottish National Party, Nicola Sturgeon, che guida il governo locale della Scozia, ha deciso di fare. Fin dal referendum sul Brexit, nello scorso giugno, aveva deciso di prendere tempo, per vedere in quale direzione si sarebbe evoluta l’opinione pubblica scozzese e, ovviamente, che piega avrebbe preso il piano del governo britannico per staccarsi dall’Ue.

Il fatto che al referendum per la Brexit il 62% degli scozzesi abbia votato per restare in Europa ha dato una nuova spinta alle pulsioni separatiste. Il problema era capire se l’opinione pubblica scozzese avrebbe seguito la stessa strada.

Ora, nella settimana in cui il primo ministro britannico Theresa May dovrebbe avviare il negoziato con l’Ue in base all’articolo 50 del trattato di Lisbona, Sturgeon ha deciso di fare la sua scommessa.

In palio ci sono la sua carriera politica e il futuro della Scozia. Ma è una scommessa che lei ha buone probabilità di vincere.

Il separatismo e il nazionalismo sono cresciuti visibilmente in Scozia negli ultimi 20 anni. Molti in Inghilterra avevano sperato che queste tendenze avessero raggiungo l’apice nel settembre 2014, quando i separatisti persero il referendum sulla secessione con un margine netto di 55% contro 45%. Quando poi il prezzo del greggio si dimezzò l’anno successivo, senza poi risalire, i partiti politici inglesi si sentirono ancora più rassicurati riguardo alla prospettiva che il Regno Unito sarebbe rimasto tale per almeno un’altra generazione. Questa convinzione resistette anche al fatto che, alle elezioni nazionali del 2015, il partito di Sturgeon vinse 56 su 59 seggi parlamentari scozzesi. Durante la campagna per il referendum sull’Ue i leader dello schieramento pro-Brexit come Boris Johnson espressero la totale fiducia che il Regno Unito sarebbe rimasto unito dopo aver abbandonato l’Unione Europea.

Il petrolio è al centro del disagio e della speranza degli scozzesi, ed è anche fonte di orgoglio nazionale. Il disagio nasce dalla convinzione che il greggio estratto dai giacimenti nel Mare del Nord fin dagli Anni Settanta dovrebbe appartenere alla Scozia. La speranza nasce dall’idea che i proventi fiscali dall’estrazione nel Mare del Nord potrebbero comunque rendere sostenibile la secessione scozzese.

In realtà, questa speranza è abbastanza illusoria, soprattutto ora che il prezzo del petrolio è crollato. Si stima che se la Scozia dovesse contare solo sul proprio gettito fiscale, avrebbe oggi un deficit del bilancio pari all’incirca al 15% del suo Pil. Una Scozia indipendente dovrebbe pagare maggiori imposte sul reddito, Iva e altre tasse soltanto per mantenere il livello esistente di servizi pubblici, che in alcuni casi – soprattutto le università e le cure degli anziani – sono già più generosi del corrispettivo a Sud del confine, in Inghilterra.

Il nazionalismo però è un sentimento forte. Il risentimento nei confronti della decisione del governo di Westminster non solo di uscire dall’Ue, ma di farlo nella maniera più risoluta, abbandonando anche il mercato unico e l’unione doganale, hanno fatto infuriare gli scozzesi, che preferivano una forma più soft della Brexit, con il Regno Unito che restava nel mercato unico. E l’idea che la Scozia potrebbe proseguire il cammino da sola, come nazione indipendente nell’Unione Europea, ha riacceso l’orgoglio nazionale.

Gli ultimi sondaggi mostrano che l’idea dell’indipendenza raccoglie in Scozia una maggioranza risicata. Restano numerosi ostacoli da superare. La Spagna ha minacciato di mettere il veto sull’adesione della Scozia all’Ue, per scoraggiare la Catalogna dalla secessione, ma dopo la Brexit questa minaccia appare difficilmente realizzabile.

La Scozia dovrà proporre un piano economico plausibile, e decidere quale moneta vorrà usare: l’euro oppure una nuova valuta scozzese. Nel corso del referendum del 2014 il governo di Westminster aveva respinto la proposta che la Scozia continuasse a utilizzare la sterlina britannica.

La strada è lunga. Ma, soprattutto se il negoziato per l’uscita del Regno Unito dall’Ue diventerà duro, la spinta per la secessione della Scozia potrebbe essere forte. Nicola Sturgeon la sua scommessa l’ha fatta.

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