Lettere aperte di Libertà e Progresso: ” Dallo ius soli allo ius scholae ”

Lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Paolo Gentiloni. On. Paolo Gentiloni, ci...

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Lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Paolo Gentiloni.

On. Paolo Gentiloni,

ci rivolgiamo a Lei, in relazione alla notizia che il Consiglio dei Ministri si appresterebbe a porre la fiducia sul disegno di legge del cd. “Ius soli”, blindando così la discussione in Aula ed impedendo al Senato di apportare, al testo approvato a Montecitorio, quelle modifiche che pure sono sollecitate da settori importanti della stessa maggioranza

Premettiamo che la nostra Associazione si è espressa fin dal febbraio 2014 per una modifica legislativa, atta a garantire l’immediato riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati che abbiano assolto all’obbligo scolastico, con il documento del 26 febbraio 2014 qui allegato (all. 1), ispirato sostanzialmente alla proposta del cd. ”Ius culturae” avanzata a suo tempo dall’allora Ministro Riccardi.

Tuttavia, il testo approvato a Montecitorio nell’ottobre 2015 – che ha relegato, di fatto, lo “Ius culturae” ad un ruolo assolutamente residuale puntando invece sullo “Ius soli”, oltretutto con meccanismi ritenuti di dubbia costituzionalità perfino dai giuristi dell’ASGI, pur favorevoli in linea di principio al disegno di legge – ci ha indotto ad indirizzare, nel gennaio 2016, ai Senatori una lettera aperta (all. 2) a cui ha fatto seguito un’ulteriore lettera nel febbraio di quest’anno (all. 3), con cui sollecitavamo modifiche sostanziali al testo licenziato dalla Camera nell’ottobre 2015.

Ci auguriamo che il Governo da Lei presieduto non voglia forzare il dibattito parlamentare, con “blindature” che impedirebbero al Senato di eliminare le gravi storture presenti nel testo.

Se però il Governo ritenesse assolutamente prioritaria l’approvazione del disegno di legge entro la fine della legislatura, chiediamo che, con emendamento governativo, venga quanto meno stralciata la parte che prevede l’introduzione dello “Ius soli”, non solo per i motivi ampiamente esposti nei documenti qui allegati, ma anche per il messaggio, estremamente pericoloso in un momento come l’attuale, implicito in tale norma, che certamente avrebbe l’effetto di alimentare, nei Paesi di provenienza e in particolare in Africa, false speranze, con la conseguenza, ad es., di incrementare fortemente il fenomeno, già presente, delle donne incinte che cercano di raggiungere, con ogni mezzo, il nostro Paese, mosse dalla convinzione che il solo dato anagrafico, della nascita in Italia, possa favorire, un domani, l’acquisizione della cittadinanza Italiana da parte dei propri figli.

Confidando che la proposta, avanzata con la presente lettera, venga esaminata con attenzione, Le inviamo i migliori auguri di buon lavoro.

p. Il Comitato Direttivo di Libertà @ Progresso

Il Presidente Angelo Piovanelli

Allegati:

1: Documento di Libertà @ Progresso del 26 Febbraio 2014 sullo “Ius Scholae”;

2: Lettera aperta di Libertà @ Progresso ai Senatori della Repubblica del 11 Gennaio 2016;

3: Lettera di Libertà @ Progresso ai Senatori e Cons. Reg. Lombardia del 23 febbraio 2017.

Brescia, 23 Febbraio 2017

– Ai Senatori della Repubblica

– Ai Consiglieri regionali Lombardia

– Ai Sindaci dei Comuni capoluogo della Lombardia

Loro sedi

La recente intervista a “La Stampa” del presidente PD, Matteo Orfini, che ha chiesto di approvare in tempi rapidi lo “ius soli” anche ricorrendo ad un voto di fiducia, ha avuto l’effetto di accendere nuovamente i riflettori sul disegno di legge in materia di cittadinanza, meglio conosciuto, seppure impropriamente, come “ius soli”, fermo in Senato da più di un anno per le forti perplessità che il testo, approvato a Montecitorio nell’ottobre 2015, suscita perfino all’interno dell’attuale maggioranza.

Come Associazione abbiamo già preso posizione con la lettera aperta del 11 gennaio 2016, che qui alleghiamo, in quanto il suo contenuto ci pare più che mai attuale.

Il tema dell’inserimento, a pieno titolo, dei giovani immigrati nella nostra società, e quindi anche dell’acquisizione della cittadinanza, rappresenta uno dei nodi centrali della questione “immigrazione” e va quindi affrontato con grande serietà, senza preconcetti o chiusure, ma anche senza sterili fughe in avanti.

A tal fine, con il documento qui allegato, abbiamo lanciato un appello ai senatori di tutte le formazioni politiche “affinché cancellino la norma sullo ius soli, lasciando in piedi il solo ius culturae, da riferirsi però all’assolvimento dell’obbligo scolastico in Italia, in modo da affermare (con i fatti e non con le parole) il principio che la scuola costituisce, per i giovani immigrati, il canale fondamentale per l’inserimento nella nostra società e quindi anche per l’acquisizione della cittadinanza”.

Nel ribadire il nostro appello a tutti gli esponenti politici, ci limitiamo ad aggiungere due semplici considerazioni. Anzitutto l’introduzione dello “ius culturae” (pur con le modifiche da noi proposte) sarebbe comunque in grado di rispondere alle istanze dei “nuovi Italiani”, agevolando l’acquisizione della cittadinanza per chi abbia assolto all’obbligo scolastico nel nostro Paese, a prescindere dal dato, meramente anagrafico, del luogo di nascita, essendo, a nostro avviso, del tutto irrilevante che lo straniero sia nato in Italia o vi sia arrivato nei primi anni di vita.

Inoltre, questa scelta andrebbe a sottolineare la centralità della scuola nel non sempre facile processo di inserimento degli immigrati di seconda generazione.

Il che presuppone però che vengano concretamente garantite adeguate risorse finanziarie (in particolare per la formazione degli insegnanti) in modo da mettere la nostra scuola realmente in condizione di affrontare le sfide epocali con cui è chiamata a confrontarsi.

Confidiamo che su questo tema, come anche sugli altri nodi della “questione migranti”, sia possibile promuovere, anzitutto nella nostra regione, una riflessione di ampio respiro, aperta al contributo di tutte le forze politiche e delle varie componenti della società civile.

Il Presidente

Angelo Piovanelli

Allegati: Documento “ius scholae” del febbraio 2014 e lettera aperta di Libertà @ Progresso ai

Senatori della Repubblica del 11 gennaio 2016.

Lettera aperta ai Senatori della Repubblica – “ Dallo ius soli allo ius scholae “

Nelle prossime settimane, il Senato è chiamato a pronunciarsi su una questione di grande rilevanza che riguarda il riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati.

Come associazione ci siamo già espressi su questo tema esattamente due anni fa, quando avevamo pubblicamente preso posizione in favore dello “ius culturae”, o più correttamente “ius scholae”, proponendolo come valida alternativa rispetto allo “ius soli” (cfr.allegato).

Le nostre perplessità sull’introduzione dello “ius soli” nascevano dalla constatazione che cominciavano a formarsi anche nel nostro Paese (seppur in dimensioni ancora limitate rispetto agli altri Stati dell’Europa Occidentale) comunità chiuse, sensibili ai richiami del fondamentalismo islamista. Ne è una testimonianza significativa il fenomeno delle figlie di immigrati, nate nel nostro Paese, che vengono rispedite nella patria d’origine con varie motivazioni, tra cui anche quella di non dover frequentare le scuole italiane e non essere quindi esposte al “contagio occidentale”.

Si tratta di un fenomeno in crescita, seppur ancora circoscritto a realtà ben precise, ma una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe essere capace di cogliere per tempo i campanelli d’allarme e tenerne conto nelle proprie decisioni. Tanto più che abbiamo davanti agli occhi l’esempio della Francia (dove lo “ius soli” è legge ormai da tempo) che ha pagato un grosso tributo di sangue, lo scorso anno, a seguito di azioni terroristiche, compiute da immigrati di seconda generazione, in possesso di passaporto francese o di altri Stati U.E., come il Belgio.

Al tempo stesso, i “foreign fighters”, di ritorno dalla Siria, possono muoversi in Europa con assoluta libertà, proprio in quanto cittadini di Stati UE (Francia, Belgio, Gran Bretagna, ecc).

In tale contesto, ci saremmo francamente aspettati che il nostro Parlamento optasse per la soluzione, meno radicale, dello “ius culturae”, legando il diritto di cittadinanza per gli immigrati di seconda generazione almeno alla condizione di aver frequentato la scuola dell’obbligo in Italia.

Al contrario il testo approvato ad ottobre dalla Camera individua lo “ius soli” come canale prioritario e del tutto automatico per l’acquisizione della cittadinanza da parte dei figli di immigrati.

E’ vero che il testo, approvato a Montecitorio, subordina tale diritto alla condizione che almeno uno dei genitori sia in possesso di permesso di soggiorno UE di lungo periodo ma, per il modo in cui è formulata, tale norma appare di dubbia costituzionalità e quindi soggetta ad un probabile annullamento da parte della Corte Costituzionale, con il risultato che il nostro Paese entrerà in un regime di “ius soli” pieno, proprio mentre gli altri Stati Europei, a partire dalla Francia, stanno cominciando a riflettere sull’opportunità di modificare, in senso restrittivo, la loro legislazione.

Il testo di Montecitorio prevede anche una forma di “ius culturae” che riconosce il diritto di cittadinanza ai figli di immigrati, esclusi dallo “ius soli”, ma si tratta di un’ipotesi del tutto residuale, che oltretutto considera sufficiente, per il riconoscimento del diritto di cittadinanza, la frequenza in Italia di un solo ciclo di almeno cinque anni e non dell’intero percorso scolastico previsto oggi dalla legge come obbligatorio.

Sulla base di quanto sopra, rivolgiamo un appello ai senatori, di tutte le formazioni politiche, affinché cancellino la norma sullo “ius soli”,lasciando in piedi il solo “ius culturae”, da riferirsi però all’assolvimento dell’obbligo scolastico in Italia, in modo da affermare (con i fatti e non con le parole) il principio che la scuola costituisce, per i giovani immigrati, il canale fondamentale per l’inserimento nella nostra società e quindi anche per l’acquisizione della cittadinanza.

Con tale intervento i senatori potranno anche dimostrare che il bicameralismo, voluto dai nostri Padri Costituenti, non deve necessariamente essere considerato una fonte di sprechi ma , se ben utilizzato, può addirittura rivelarsi uno strumento utile per scelte legislative più ponderate.

Brescia, 11 gennaio 2016 Il Comitato Direttivo di Libertà @ Progresso

Allegato: Documento di Libertà @ Progresso del 26 Febbraio 2014 sullo “Ius Scholae”.

“IUS SCHOLAE”

La proposta di “Libertà @ Progresso” in tema di cittadinanza agli immigrati di seconda generazione.

E’ affiorata spesso, nel dibattito politico di quest’ultimo anno, la proposta di introdurre in Italia il cosiddetto “ius soli”, ovvero il conferimento, automatico o quasi, della cittadinanza ai figli degli immigrati nati nel nostro Paese.

Trattandosi di un tema complesso che investe uno dei fenomeni centrali di questo inizio di Secolo, riteniamo assolutamente fondamentale che venga affrontato senza pregiudizi di alcun tipo e avendo ben presente l’obbiettivo di fondo, che deve essere quello di favorire un equilibrato processo di integrazione nella nostra società dei figli degli immigrati, in particolare di coloro i quali hanno alle spalle un contesto etnico-culturale profondamente diverso da quello europeo.

L’ipotesi dello “ius soli” parte dal presupposto che chi è nato in Italia finisca necessariamente per acquisire i valori irrinunciabili che sono oggi alla base della convivenza civile in tutte le società moderne, e cioè il rispetto dell’individuo in quanto tale e la parità dei diritti, non solo formale, senza distinzione di sesso, origine etnica o appartenenza religiosa..

Purtroppo l’esperienza dell’ultimo decennio – specie in una provincia come Brescia, in cui l’immigrazione extra-comunitaria ha raggiunto, non da oggi, dimensioni “nordeuropee” – dimostra che l’equazione, su cui si basa tale proposta, non può essere data per scontata.

Basterebbe pensare a tutte quelle mogli di immigrati (e non sono certo poche) che vivono da anni nella nostra provincia, in una situazione di ghettizzazione se non di vera e propria segregazione, al punto che spesso e volentieri non conoscono nemmeno la nostra lingua.

A ciò si aggiunga un ulteriore fenomeno che ha assunto dimensioni significative per effetto della crisi, vale a dire il rientro in patria di mogli e figli degli immigrati rimasti senza lavoro.

Già nel luglio 2010 sulla stampa locale era comparso un articolo molto documentato, in cui si poteva leggere, tra l’altro, che “in un caso su cinque a Brescia rimane solo il padre disoccupato”. Da allora la crisi si è andata notevolmente aggravando soprattutto sotto il profilo occupazionale, per cui il fenomeno, segnalato dalla stampa bresciana quasi quattro anni fa, ha certamente assunto una consistenza assai maggiore con la conseguenza che oggi non sono pochi, a Brescia ma anche nelle altre province, i casi di figli di immigrati nati in Italia che, per la crisi o per altri motivi, sono poi tornati a vivere e a studiare nel Paese d’origine.

Per questo l’ipotesi dello “ius soli” non appare condivisibile, in quanto ignora completamente dati significativi della complessa realtà dell’immigrazione e per di più introduce un automatismo che innescherebbe una spirale perversa. Il rischio, in soldoni, è che si riproducano – moltiplicati stavolta per cento – gli stessi effetti distorsivi innescati, un tempo, dalla norma che prevedeva il conferimento automatico della cittadinanza allo straniero che contraeva matrimonio con un italiano e che, non a caso, è stata poi modificata dal Parlamento.

Anche la soluzione di compromesso, ipotizzata dallo stesso Renzi lunedì scorso nel suo intervento al Senato in occasione del dibattito sulla fiducia al Governo, di introdurre una sorta di “ius soli temperato”, ovvero non automatico, non appare comunque in grado di scongiurare questo pericolo, in quanto la prospettiva di offrire ai propri figli un nuovo passaporto, e quindi la speranza di un futuro diverso, spingerebbe inevitabilmente verso il nostro Paese moltissime giovani donne, in fuga da condizioni di miseria per noi inimmaginabili, gravando così il sistema sanitario ed assistenziale di ulteriori oneri finanziari, difficili da sostenere in una fase di perdurante crisi come l’attuale.

Alla luce di queste considerazioni, riteniamo pericolosa qualsiasi soluzione ispirata al principio dello “ius soli”, secco o temperato che sia.

E tuttavia, data l’importanza del tema, sarebbe inopportuno ed ingiusto limitarsi ad un atteggiamento di pura e semplice critica.

Abbiamo quindi deciso, in quanto associazione culturale, di elaborare un’ipotesi, da sottoporre all’opinione pubblica, che potrebbe essere denominata “ius scholae”, nella misura in cui lega l’acquisizione della cittadinanza da parte degli immigrati di seconda generazione (nati in Italia o trasferitisi qui con la famiglia in tenera età) non al luogo di nascita, ma all’aver frequentato, nel nostro Paese, l’intero percorso della scuola dell’obbligo (fissato attualmente in dieci anni, cioè, di norma, fino a 16 anni di età), che costituisce senza dubbio lo strumento principe, anche se non esclusivo, di ogni seria politica di integrazione. In questo senso, non è difficile scorgere un punto di contatto con la proposta, avanzata, poco più di un anno fa, dall’allora Ministro Riccardi, dello “ius culturae”, i cui fautori legano però il conferimento della cittadinanza al completamento del primo ciclo scolastico (ovvero i cinque anni delle elementari). A nostro avviso invece il processo di integrazione, per essere fondato su solide basi, non può certo esaurirsi nell’ambito dell’istruzione primaria ma dovrebbe coincidere con il ben più articolato percorso della scuola dell’obbligo, delineato nella legge 296 del dicembre 2006 e nei successivi provvedimenti attuativi, dai quali, oltretutto, si desume una esplicita finalizzazione dell’iter scolastico all’acquisizione delle “competenze chiave di cittadinanza”.

Riteniamo, stante la complessità della materia, che una puntuale strutturazione dell’ipotesi dello “ius scholae”, da noi individuata quale alternativa allo “ius soli”, presupponga un confronto preliminare con il mondo della Scuola e con gli Amministratori locali.

Nell’attesa, ci limitiamo ad accompagnare l’enunciazione dell’ipotesi in questione con pochi punti fermi, necessari, a nostro avviso, a garantirne una effettiva corrispondenza con l’obbiettivo di fondo dell’integrazione.

Va anzitutto chiarito che la suddetta ipotesi prevede, come requisito fondamentale, non il conseguimento del titolo di studio ma la frequenza della scuola dell’obbligo, in tutta la sua durata, poiché solo questo percorso consente di interagire con gli studenti e gli insegnanti italiani.

Ne conseguono due corollari importanti che ci preme qua sottolineare, a conclusione di questa sintetica presentazione della nostra proposta:

1) una strategia che miri ad evitare la ghettizzazione dei figli degli immigrati, in classi di fatto separate o peggio ancora in strutture private sul modello della scuola Islamica di Via Quaranta, a Milano, di qualche anno fa;

2) infine (“last but not least”) una politica che punti a valorizzare la scuola, con adeguati investimenti anche nella formazione degli insegnanti, in modo da fornire al nostro sistema pubblico di istruzione strumenti all’altezza della sfida posta dai mutamenti epocali in atto.

Documento approvato all’unanimità dal Comitato Direttivo dell’Associazione culturale Libertà @ Progresso

Brescia, 26 febbraio 2014

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