Il caldo è da record, ma il G7 ambiente è un flop

Gli Stati Uniti danno forfait e il G7 dell’ambiente di Bologna fallisce alla vigilia di...

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Gli Stati Uniti danno forfait e il G7 dell’ambiente di Bologna fallisce alla vigilia di una settimana nella quale il termometro raggiungerà picchi da 36 gradi. Il ministro Galletti: “Abbiamo trovato un accordo su tutto tranne che sul clima”. Alla rottura con Trump, scrive Bill Emmott, l’Europa deve reagire con la politica: lasciando la porta aperta agli Stati Uniti, stando però pronta a difendere il suo modello di sviluppo da sola fino a quando sarà necessario.

Così l’Europa può ricucire con Donald

Dopo la prima visita del presidente Trump in Europa, l’alleanza occidentale appare disorientata e fragile. Non solo il paese che è il punto di riferimento dell’Occidente ha eletto alla sua guida un narcisista patologico, ma quest’ultimo ha minacciato i suoi più stretti alleati di scatenare guerre commerciali, ha rinnegato il patto di reciproca difesa della Nato, ha espresso apprezzamento per la candidata alle elezioni francesi anti-Nato e anti-Eu Marine Le Pen e in quest’ultima settimana ha ritirato l’adesione dell’America agli accordi globali sul clima siglati a Parigi meno di due anni fa. Che cosa dovrebbe fare l’Europa? Rispondo: imparare dal maresciallo Ferdinand Foch.

Il maresciallo Foch fu un grande generale francese che, com’è noto, durante la Battaglia della Marna nel 1914 disse: «Il centro dello schieramento sta cedendo, l’ala destra è in ritirata – la situazione è ottimale per attaccare».

Detto altrimenti, è tempo che l’Europa prenda l’iniziativa. Questo intendeva il cancelliere Angela Merkel il 25 maggio quando ha voluto deliberatamente fare colpo sui tedeschi dichiarando che è ora che noi europei prendiamo «il destino nelle nostre mani». E questo era anche il senso della fin troppo energica stretta di mano scambiata da Emmanuel Macron con il presidente Trump in occasione della sua visita europea, così come dell’aperta disapprovazione espressa al presidente russo Vladimir Putin quando pochi giorni dopo l’ha incontrato a Versailles.

Da quasi dieci anni a questa parte, dall’inizio della crisi finanziaria globale, e in quest’ultimo anno dopo il voto inglese sulla Brexit, i governi europei hanno dato prova di grande volontà politica. Le loro divisioni e la debolezza politica hanno reso loro impossibili ulteriori progressi, ma hanno dato prova di tenacia nel preservare e salvaguardare l’euro e le istituzioni comunitarie. Adesso, però, devono dare prova di coraggio politico.

Il loro futuro, così come quello dell’Occidente, con tutto quello che ne consegue in termini di valori condivisi, dipende dalla loro volontà di agire con coraggio negli anni a venire. La debolezza economica dei paesi dell’Ue di fronte alla crisi finanziaria è all’origine delle loro troppe divisioni nell’affrontare in modo adeguato le guerre e i flussi migratori che attraversano il Mediterraneo, e della loro vulnerabilità alle provocazioni della Russia che ha violato le leggi internazionali modificando a proprio vantaggio i confini in Ucraina e nel Caucaso.

Eppure l’Europa, più di tutti, dopo il 1945 è cresciuta in prosperità e sicurezza grazie ai valori fondanti del liberalismo occidentale: l’apertura ai commerci, alle idee, ai popoli e alle tecnologie, al suo interno come nel mondo; l’uguaglianza, dei diritti politici, dei servizi sociali, della cittadinanza, il ruolo della legge, che ha mantenuto la stabilità, e ultima ma non meno importante, l’alleanza globale delle nazioni democratiche che si riconoscono in questi valori e si alleano per difendere la legge internazionale e la correttezza delle regole nei commerci e non solo.

L’attuale congiuntura sfavorevole è in gran parte dovuta al nostro stesso fallimento per non essere riusciti a scongiurare la crisi finanziaria del 2008, la peggiore degli ultimi 80 anni. Sono le medesime ragioni che hanno portato all’elezione di Donald Trump e alla Brexit. Ma questo non è un buon motivo per rinunciare ai nostri valori, anzi. Per tornare a prosperare nella comune sicurezza dobbiamo riscoprirli.

Il significato della visita di Trump e del suo ritiro dall’accordo sul clima è che non si può più fare conto sull’America per guidare questo processo, impegnata com’è nel suo dibattito ideologico interno tra liberalismo e protezionismo, apertura e chiusura, internazionalismo o isolazionismo. L’Europa deve tenere la porta aperta agli Stati Uniti nella speranza di un loro eventuale ritorno a una piena e condivisa partecipazione ai comuni valori. Ma nel frattempo deve difenderli da sé e rafforzarsi.

È possibile farlo? La presa di posizione del Cancelliere Merkel è un segnale positivo in questo senso, anche se può essere sminuita etichettandola come cinica retorica elettorale. Se davvero gli europei vorranno prendere il destino nelle loro mani, però, la politica tedesca dovrà fare un salto di qualità, non limitarsi a stabilire le regole ma assumersi un approccio più attivo e generoso: occorre, ad esempio, un piano adeguato di investimenti pubblici a livello europeo, svincolato dalla normativa fiscale vigente, per realizzare infrastrutture come la super rete elettrica europea; e un programma di difesa comune che accresca tanto gli investimenti come la cooperazione, secondo le linee guida proposte da Federica Mogherini, l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri; e anche un accordo per la gestione del debito sovrano che liberi la Grecia dalla morsa in cui si trova stretta.

Ci sono due motivi per pensare che tutto questo possa accadere. Il primo è che, dando per avvenuta la sua rielezione a settembre, Angela Merkel sarà al suo ultimo mandato e a giudicarla non avrà più gli elettori ma soltanto la storia. La seconda ragione si chiama Emmanuel Macron. Per la prima volta in decenni la Francia ha un presidente che gode della fiducia dei tedeschi anche se non sono d’accordo con lui in tutto e per tutto.

Anche l’Italia deve fare la sua parte. Nessuno si aspetta che diventi un capofila del progresso e della collaborazione europei dopo le prossime elezioni, ma i vicini europei si augurano che non diventi nemmeno un ostacolo sul percorso o una bomba a tempo da disinnescare. Ci vorrà un governo pronto a collaborare a livello europeo e, allo stesso tempo, a fare in patria ciò che tutti sperano farà Macron: riformare l’economia, rimuovere gli ostacoli che bloccano l’imprenditoria e gli investimenti, far funzionare la giustizia. Una Germania più coraggiosa e generosa, una Francia credibile e propositiva, un’Italia stabile, progressista e riformista: questa sarebbe una buona ricetta per ridare forza all’Europa e salvare l’Occidente. E se, nel giro di quattro anni, un’Europa così rinnovata potesse accogliere alla sua prima visita un nuovo e più internazionalista presidente americano, uomo o magari donna, ecco che il futuro dell’Occidente potrebbe tornare a colorarsi di rosa.

Traduzione di Carla Reschia

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