Trump e il petrolio

Le riserve di petrolio negli Stati Uniti segnano nuovi record e il barile torna sotto...

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Le riserve di petrolio negli Stati Uniti segnano nuovi record e il barile torna sotto i 50 dollari, nonostante i Paesi produttori dell’Opec abbiano deciso di tagliare la produzione. L’oscillazione premia il presidente americano Donald Trump, che vuole rendere l’America impermeabile alle dinamiche geopolitiche, portando il petrolio dal Canada al Nebraska con il nuovo e controverso oleodotto Keystone XL.

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Il presidente vuole dettare le regole e mobilita il Paese: “Dobbiamo essere indipendenti dalle nazioni ostili”

NEW YORK – Nel quarto giorno dell’era Trump, il neoeletto presidente degli Stati Uniti ha firmato – fra gli altri – due decreti esecutivi per completare altrettante opere infrastrutturali del comparto energetico, la cui realizzazione era ostaggio di un’impasse della precedente amministrazione. I provvedimenti puntano ad agevolare e accelerare la messa in opera dell’oleodotto Keystone XL da parte di TransCanada, e il completamento del Dakota Access da parte di Energy Transfer Partners. Due pilastri della più ampia strategia di primato energetico nazionale col quale Donald Trump punta a consolidare l’indipendenza del Paese, mettendolo al riparo dalla volatilità finanziaria internazionale e dalle dinamiche di prezzo dettate dall’Opec.

La strategia Trump in materia energetica, di cui la controriforma ecologista e il rilancio dell’industria mineraria sono aspetti strategici, giunge in un momento di nuova volatilità del prezzo del petrolio, con il barile di Wti a quota 48,49 dollari, ovvero ai minimi dal 29 novembre. L’impressione è che si sia innescato nuovamente quel trend che aveva portato in circa un anno e mezzo il prezzo del barile da 110 dollari ai 26 dollari di gennaio 2016, sotto l’azione della lunga mano saudita. Il congelamento dei tagli di produzione da parte di Riad, capofila Opec, con conseguente depressione dei prezzi, aveva messo fuori gioco i Produttori minori e portato alla bancarotta circa 80 aziende Usa del comparto. E in ultima istanza innescato ricadute negative sulla stessa Arabia Saudita, costretta a ricorrere all’austerity in stile occidentale. Una spirale viziosa dinanzi alla quale lo stesso ministro per l’energia di Riad, Khalid Al-Falih, e la controparte russa Alexander Novak, avevano messo a punto una strategia di tagli dell’output varata a dicembre, ma nonostante la quale, tre mesi dopo, il prezzo del greggio ha ripreso a scendere, sia per l’aumento delle scorte Usa sia per l’incertezza sulla durata dei tagli.

Non si è nella situazione di un anno fa, come spiegano fonti autorevoli, visto che ora tutto il mercato, sia finanziario che delle materie prime, «sta vivendo un’influenza positiva post elezione Trump. In più la corsa agli armamenti, auspicata dal nuovo presidente, di norma sostiene il mercato dell’oro nero, e anche le controriforme ambientaliste meno ostili ai combustibili fossili aiutano». Questo vuol dire che il «crude» a 50 dollari al barile è un prezzo che non è così lontano dal suo valore reale. «Il quadro generale geo politico è cambiato, e comunque se non cambiano le logiche storiche sul greggio, l’imprevista vittoria di Trump, l’aumento della spesa militare e l’allenamento alle strette ambientaliste sosterranno i prezzi verso un intervallo di oscillazione compreso tra i 60 e 45 dollari per un bel periodo di tempo». Fattore questo che consentirà a Trump di tenere a bada i Paesi produttori del Golfo.

In sintesi in tale mutato quadro generale di riferimento gli Usa possono iniziare a dettare le loro regole, primo perché l’entrata in scena di Trump ha innescato meccanismi che influenzano il sistema stesso (politiche energetiche, militari e ambientali). Secondo perché il presidente vuole dotare il Paese di una corazza che lo renda praticamente impermeabile «a certe dinamiche indotte e opache», anche perché il greggio è la linfa vitale dell’economia Usa. E questo dotandosi di risorse interne, accrescendo gli standard energetici di consumo e produzione, sviluppando alternative per il trasporto veicoli a gas, elettrici o a idrogeno.

In questo contesto rientra il Keystone XL (5 mila km in tutto) per trasportare il petrolio dall’Alberta, in Canada, al Nebraska, dove sarebbe poi interconnesso ad un’altra struttura che lo porterebbe in Illinois e nelle raffinerie di Louisiana e Texas, sfruttando anche le sabbie bituminose del Canada. E il Dakota Access, un’opera di 1.886 km che consentirebbe il trasporto di greggio dal giacimento share Oil di Bakken in North Dakota sino a Patoka in Illinois, osteggiata dalle popolazioni Sioux per l’impatto che potrebbe avere sulle loro terre. Istanze quelle dei nativi americani che nulla possono dinanzi alla ragion di Stato, secondo il 45 esimo presidente americano. Elemento questo che rientra nell’ultimo tassello della dottrina Trump, la sicurezza energetica, per il quale è stata creata una commissione bipartisan alla Camera col compito di studiare le ricadute delle decisioni Opec sul mercato energetico globale, individuare misure di contrasto agli effetti negativi prodotti dal cartello, e proporre misure e azioni in questo senso sul piano diplomatico, legale, e regolamentare e politico. Insomma quello che Trump ha compendiato nel suo «America First Energy Plan», ovvero: «Divenire e rimanere del tutto indipendenti dall’Opec e da qualsiasi nazione ostile ai nostri interessi».

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lastampa/Oleodotti e giacimenti minerari, Trump non si fida degli sceicchi e punta all’autonomia energetica FRANCESCO SEMPRINI – NEW YORK

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