Braccio di ferro con la Bce per salvare quattro banche

Il Tesoro sta lavorando per completare il salvataggio delle quattro banche finite nella bufera nel...

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Il Tesoro sta lavorando per completare il salvataggio delle quattro banche finite nella bufera nel 2015. Per il governo si tratta di un piano che “non può fallire” e prevede che Ubi rilevi tre istituti in difficoltà. Sull’operazione, però, è scoppiato un braccio di ferro con la Bce. L’istituto lombardo chiede un intervento deciso del governo per sbloccare i fondi, ma la partita appare complessa. Secondo Stefano Lepri il progetto del Tesoro potrebbe avere delle ricadute sui conti pubblici.

Mossa a sorpresa del governo per salvare le quattro banche

Vertice blindato al Tesoro con Bankitalia, Cdp e i colossi del credito. L’operazione Ubi non può fallire, cresce il pressing su Intesa e Unicredit

ROMA – Il nuovo muro contro muro con la Bce rischia di far saltare la cessione di tre delle quattro famigerate «good banks» italiane salvate a fine 2015 dal Fondo di risoluzione mandando in tilt il delicato equilibrio che governo e Bankitalia hanno costruito in questi mesi allo scopo di puntellare il sistema del credito. Per il governo l’operazione-Ubi, unica pretendente rimasta in campo, «non può assolutamente fallire». Perché, complice la fibrillazione innescata dal disastro della Deutsche bank, un eventuale flop potrebbe creare un effetto contagio e arrivare a mettere a rischio un piano ben più importante, anche dal punto di vista politico, come il salvataggio del Monte dei Paschi. Dopo che il Tesoro, la scorsa settimana, ha ottenuto da Bruxelles una nuova proroga per la cessione di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Carife, da Francoforte è infatti arrivato uno stop che rischia di compromettere tutta l’operazione. E per questo ora si cerca di correre ai ripari.

Il «caso Deutsche» e noi  

Il tema banche è stato al centro del vertice blindatissimo che si è tenuto ieri nel tardo pomeriggio al Tesoro. «Non si è entrati nel dettaglio di singoli casi», hanno fatto sapere in serata fonti del Mef, ma ci si sarebbe limitati ad analizzare lo stato del nostro sistema bancario anche alla luce delle tensioni sui mercati internazionali degli ultimi tempi. Nel corso delle due ore di confronto «tutti» avrebbero avuto modo di conoscere «tutto», spiega un’altra fonte. «Dobbiamo avere un dialogo continuo su questa situazione di transizione, per irrobustire il sistema» aveva dichiarato nel pomeriggio il ministro Padoan anticipando il senso del vertice col gotha bancario nazionale.

I problemi sul tappeto sono molti e spesso fortemente intrecciati tra loro. Chiamano in causa la Commissione Ue e la Banca centrale europea (che ora a Ubi chiede un aumento di capitale da 600 milioni che la popolare bergamasca giudica inaccettabile), e vanno dalla gestione delle sofferenze, al possibile ruolo del Fondo interbancario di garanzia (ultima spiaggia per evitare la liquidazione di Carife) e di altri big come Intesa e Unicredit, col maxi aumento di capitale di Mps che resta la grande incognita dei prossimi mesi. Ma sul quale, ancora ieri, Padoan è stato molto netto: «non ci sono piani alternativi: ci sarà un’offerta al mercato che sono convinto che avrà successo». Assolutamente escluso un intervento pubblico, «nessuna intromissione».

Secondo fonti del Mef quello di ieri è stato di un incontro «di routine, che fa parte di una consuetudine che si va consolidando». Però non capita spesso di vedere riuniti assieme il ministro dell’Economia, il governatore di Bankitalia, i vertici delle tre banche più importanti (Intesa, Unicredit e Ubi), i rappresentanti di Acri e Abi (il dg Giovanni Sabatini), il presidente della Cassa Depositi Costamagna e il numero uno del Fondo Atlante Penati. «Il governo farà di tutto per non far fallire l’operazione Ubi», spiegava ieri una fonte dell’esecutivo. E per evitare che un eventuale contraccolpo possa arrivare a compromettere i piani per Mps.

A caccia di nuovi fondi  

Come già avvenuto in passato ci si vorrebbe affidare alle cosiddette «soluzioni di sistema». Con un occhio a Cdp e Fondo Atlante ma soprattutto a Banca Intesa ed Unicredit, verso le quali sarebbe già ripartito il pressing. Da loro, che pure hanno già finanziato ampiamente i due fondi Atlante ed erogato assieme ad Ubi un prestito ponte da 1,6 miliardi destinato alle 4 «good banks», ci si aspetta un ulteriore sforzo, ad esempio per togliere dal groppone di Ubi i 3,4 miliardi di nuove sofferenze che le 4 banche hanno generato da inizio anno. Ma Intesa non ne vuole sapere e Unicredit ha altri guai di suo, per cui entrambe fanno muro. Per ora.

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