L’ultima battaglia per Charlie: cittadinanza dal Vaticano

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La vita di Charlie, il bimbo inglese di dieci mesi malato a cui i medici dovrebbero staccare la spina, apre un caso diplomatico tra Italia, Regno Unito e Vaticano.

Il tentativo impossibile del Vaticano dare la cittadinanza al piccolo

Il via libera inglese solo se i nostri medici staccassero i macchinari

La Santa Sede le sta provando tutte per aiutare il piccolo Charlie. Lo spiegamento di forze diplomatiche d’Oltretevere è a livelli massimi. Si è anche studiata la possibilità di dare al bimbo inglese di 10 mesi, gravemente malato, la cittadinanza vaticana, che però non risolverebbe la questione giuridica. D’altronde, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin due giorni fa lo aveva confermato: «Faremo il possibile» per «superare i problemi» legali che impediscono il trasferimento di Charlie Gard dal Great Ormond Street Hospital di Londra, dove è ricoverato e dove si è deciso di interrompere le cure giudicate inutili, all’ospedale romano Bambino Gesù, di proprietà della Santa Sede. I problemi legali «sono legati alla nazionalità, al fatto che i genitori non possono portare il bambino fuori dal territorio senza il permesso delle autorità».

Nella giornata di martedì la Segreteria di Stato Vaticano ha valutato la possibilità di rendere Charlie Gard cittadino dello «Stato del Papa»: in un primo momento sembrava un corridoio giuridico percorribile per portarlo nel nosocomio pediatrico presieduto da Mariella Enoc. La diplomazia della Santa Sede non ha incontrato né interpellato esponenti del governo britannico, ma ha approfondito la questione con il nunzio apostolico (l’ambasciatore permanente della Santa Sede) in Gran Bretagna, l’arcivescovo Edward Joseph Adams, contattando anche la famiglia di Charlie. Però è stato tutto inutile: si è appurato che con questa soluzione l’impedimento decisivo non si supererebbe.

Infatti il via libera al trasferimento da Londra arriverebbe solo se il Bambin Gesù fosse disposto a eseguire la sentenza della Suprema Corte, ossia staccare i macchinari che tengono in vita il neonato vittima di una malattia rarissima, la deplezione mitocondriale. Ma ovviamente, come ha confermato Enoc, l’ospedale del Papa «non può considerare questa opportunità». E «la Farnesina ha ottenuto la stessa risposta che l’Ospedale di Londra ha dato a noi – aggiunge Enoc – Loro non possono trasportare il bambino a meno che non applichiamo il protocollo indicato, che prevede di non praticare nessuna cura al bambino e di staccare la spina. È ovvio che abbiamo risposto di no». Enoc ha confermato che comunque i medici che seguono le malattie rare dell’ospedale Bambino Gesù sono al lavoro con altri esperti internazionali – tra cui colleghi Usa – per mettere a punto un protocollo di trattamento sperimentale per il piccolo Charlie. E ieri mattina la mamma ha parlato con gli specialisti dell’ospedale romano dopo il contatto del giorno prima con la stessa presidente.

La Santa Sede era entrata in campo in soccorso di Charlie lunedì, il giorno dopo l’appello di papa Francesco affinché si curi Charlie fino alla fine dei suoi giorni. Mentre monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che si occupa di questi temi, ha dichiarato: «Staccare la spina a un malato è una cosa che mi fa ribrezzo», ed «è orribile che i tribunali decidano della vita di una persona».

Caro Charlie, perché vorrei salvarti la vita
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