A Milano pedalare è diventata un’abitudine: ”Così si batte lo smog”

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La mattina, a Milano, una nebbia sottile circonda il castello e, nel silenzio, sfila un traffico nuovo.

Il popolo delle biciclette. Milano, oggi, è la città perfetta per loro, con i chilometri di ciclabili in piano.

C’è chi accorcia i tempi per andare al lavoro, chi porta i figli a scuola, chi il dottore gli ha consigliato di perdere un paio di chili, chi si diletta, chi protesta contro le lobby del petrolio con la scritta «no oil» attaccata alla ruota. Monopattini, bici da corsa, a scatto fisso, buffe e gialle del bike-sharing, eleganti grazielle con il cestino in vimini, bici pieghevoli con ruote piccole per portarle in metrò, maschili, retrò, con sedili in pelle di cuoieria. Mi diverto a mescolarmi in questa giostra di stili e ritmi diversi, a catalogarne i tipi.

Scende dal marciapiedi con un salto il ragazzino sulla Bmx, freestyle come il rapper che ascolta nelle cuffie metallizzate. Sulla motocross delle biciclette contano le acrobazie, non la velocità. Pedala piano il «giovin signore», che la fretta è da cafoni. Corre il fattorino, col suo cubo dietro la schiena, costretto a volte dal mercato ad indossare imbarazzanti tutine fucsia, brandizzate. Rappresenta la Milano che produce, che non si ferma mai. Graziella e basco alla parigina, invece, per la «femme fatale», un ciuffo di capelli appoggiato alla pallidissima fronte, che non si scompone mai.

Il tipo con il caschetto è molto concentrato, per lui la bicicletta è una cosa seria. Ha la cerata quando piove, i faretti laterali, lo zaino, gli specchietti. È il moralizzatore della ciclabile, l’incubo dei pedoni malaccorti. Non vede l’ora di farsi paladino della sua categoria: la vendetta sul pedone è la sua missione, il campanello la sua spada, la voce la sua arma di distruzione di massa. Ha aspettato tutta la vita di avere il suo spazio in città e non permetterà che nessuno glielo porti via. Strizza l’occhio agli altri ciclisti, solo loro possono capire.

Il «ciclista casuale», poi, si abbina alla bici gialla del bike-sharing. Non ha elementi distintivi: spavaldo o dimesso, segna il successo dell’iniziativa del Comune. Gli piace andare in bici, ma non è pronto a farne uno stile di vita. Insomma, è molto diverso dagli hipster. Loro amano le linee pulite della «scatto fisso», prive di freni manuali e dei relativi fili che li connettono alle ruote. Baffi a manubrio, camicia da boscaiolo, jeans aderenti e grossi occhiali da vista sono indispensabili per distinguersi dalla massa informe. La «fixie bike», con il suo freno a pedali è pericolosa, scomoda, carissima, ma è proprio ciò che la rende attraente al coraggioso hipster. Distinguersi dal «mainstream» è un comandamento, e quindi via al senza calze d’inverno, al senza freni sul ghiaccio, al senza giacca sotto la pioggia. Eroi dell’anticonformismo conformato, compensano l’aspetto vignettistico con un certo fascino atletico.

Eppure, malgrado gli sforzi, il ciclista fuori dal coro si trova a Chinatown. Nella pedonale via Sarpi biciclette al limite delle capacità umane hanno sostituito i carrelli, vietati da un’ordinanza. Aggirando la norma e sfidando la gravità, ingegnosi cinesi trasportano volumi pari a 50 volte il loro peso. I cassoni avvolgono le merci nello stesso odorante mistero di questa parte di città. E «bici-cargo» anche per la «mamma-sprint», che porta in giro uno o due figli sui seggiolini. Il calo delle nascite le permette di tenersi in forma.

Non si cura troppo del suo aspetto la veterana, che va in bicicletta dagli Anni 80, quando rischiava la vita tra rotaie e pavè. Ha un che di terzomondista, grosse sciarpe, gioielli e gonnoni etnici e i capelli incolti, al massimo, possono essere tinti all’henné. La veterana abita in centro: fa yoga, non fa vacanze ma viaggi in India, mangia vegetariano e compra biologico e chilometro zero.

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